Argentina ’78 -L’Albiceleste trionfa nel Mondiale della vergogna (Speciale Mondiali -Part. 12)

Il Regime, tra decaparecidos, presunte combine e intimidazioni, portò l'Argentina sul tetto del mondo a spese dell'Olanda e della sorprendente Italia

Come abbiamo già visto in precedenza, dalla metà degli anni ’50 entrò in vigore la regola non scritta che per assegnare la sede della Coppa del Mondo bisognava rispettare l’alternanza Europa-America. Ecco perchè, dopo la rassegna tedesca del ’74, per il 1978 sarebbe stato necessario attraversare nuovamente l’Oceano Atlantico. Un’edizione quella che venne assegnata addirittura 14 anni prima, in occasione della riunione Fifa tenuta a Tokyo per decidere il paese ospitante del Mondiale del 1970. In quel contesto il presidente Stanley Rous stabilì che lo sconfitto tra i due paesi in lizza, Messico e Argentina, avrebbe avuto l’assegnazione per il mondiale del 1978. E così fu: l’Argentina, dopo 40 anni di tentativi andati a vuoto, riuscì finalmente ad ottenere la tanto agognata organizzazione della Coppa del Mondo che le era sfuggita nel ’62 prima e nel ’70 poi.

 

L’Argentina del terrore

Tra gli argentini che più di tutti negli anni ’50 spinsero per ottenere il Mondiale c’era il Presidente Peron, che però al momento dell’assegnazione era costretto in esilio già da molti anni. All’epoca il governo era in mano ad Arturo Illa, ma a partire dal 1966 la vita politica del Paese proseguì affannosamente tra colpi di stato e governi militari, fin quando, nel 1973, Peron tornò clamorosamente al potere. La sua legislatura durò solo un anno: dopo la sua morte, avvenuta nel ’74, la presidenza venne assunta dalla seconda moglie Isabelita, che dette il via ad un costoso programma di costruzione di strutture sportive mettendo però a nudo inefficienze organizzative ed una scarsa considerazione delle spese. Le cose cambiarono ulteriormente nel marzo 1976, quando un altro colpo di stato militare consentì al Generale Jorge Videla di salire al potere. La ‘junta militar‘ instaurò un regime terroristico basato sulla repressione, la detenzione in strutture segrete, la tortura e l’eliminazione fisica dei presunti oppositori politici, una situazione che scosse l’opinione pubblica e fece crescere l’indignazione generale. Il regime però comprese l’importanza dell’evento e si mise subito all’opera, anche grazie alla volontà del popolo, per nascondere i problemi del paese e fornire un’impressione di ordine e progresso.

 

Bearzot rimette in piedi il sogno azzurro

All’indomani della batosta incassata in Germania, c’era da raccogliere ciò che restava di una Nazionale allo sbando. I Mondiali messicani erano ormai un lontano ricordo, e il primo effetto della debacle tedesca fu l’esonero di Ferruccio Valcareggi. L’Italia ripartì da Fulvio Bernardini, che come prima cosa rivoluzionò il volto della squadra confermando i soli Zoff e Facchetti. Ma le cose, con l’ex tecnico di Fiorentina e Samp, non andarono meglio. Nelle prime 6 tra partite amichevoli e qualificazioni ad Euro ’76, arrivarono infatti 3 sconfitte, 2 pareggi per 0-0 ed una sola vittoria. Effettivamente il girone degli Azzurri, con Olanda, Polonia e Finlandia, era davvero proibitivo, e neanche la coabitazione con Enzo Bearzot servì all’Italia per strappare il pass per la fase finale della manifestazione in programma in Jugoslavia. Mentre la Cecoslovacchia otteneva il primo trofeo della sua storia superando ai rigori la Germania Ovest, anche e sopratutto grazie al primo “cucchiaio” esibito da Antonin Panenka, l’Italia ripartiva per le qualificazioni ad Argentina ’78 ancora con la coppia Bernardini-Bearzot. Il girone ci rinnovò la sfida con l’Inghilterra, e dopo il facile esordio vinto per 4-1 in Lussemburgo, gli inglesi si presentarono a Roma il 17 novembre 1976. In un Olimpico esaurito in ogni ordine di posto, gli Azzurri tirarono fuori una prestazione maiuscola, un 2-0 firmato Antognoni e Bettega che faceva intendere le potenzialità della nuova Italia. La Nazionale proseguì infatti il cammino senza intoppi (le uniche sconfitte nella gestione della coppia di tecnici arrivarono in amichevole), e le cose non cambiarono nemmeno quando Bernardini si fece da parte per lasciare il posto a Bearzot come commissario unico. L’esordio si consumò con una sconfitta in amichevole contro la Germania Ovest, ma l’Italia riuscì a chiudere in testa il girone ottenendo la qualificazione ai Mondiali proprio a spese dell’Inghilterra.

 

Menotti, il radical chic che cambiò faccia al calcio argentino

La formula del torneo fu la medesima di Germania ’74: 4 gironi da 4 squadre nella prima fase, con le prime 2 di ogni gruppo che si qualificano alla seconda; 2 gironi da 4 nel turno successivo, dove prime sarebbero andate dirette in finale mentre le seconde avrebbero dovuto disputare la finale 3-4° posto. Considerando che due dei 16 posti erano già assegnati ad Argentina e Germania Ovest, rispettivamente paese ospitante e campione in carica, e che le nazionali iscritte alle qualificazioni furono 106, si può affermare che Argentina ’78 fu il torneo di più difficile qualificazione nella storia dei Mondiali di calcio. Detto dell’esclusione dell’Inghilterra per mano dell’Italia, la sorpresa più rilevante fu l’eliminazione della Cecoslovacchia, fresca Campione d’Europa, a favore della Scozia. Per il resto le big c’erano tutte, comprese Olanda e Francia, le uniche due nazioni ad impostare una timida campagna di boicottaggio per la situazione politica in Argentina che il Regime stava cercando di nascondere, ma che in realtà il mondo conosceva bene. Completavano il quadro delle qualificate Austria, Svezia, Spagna, Polonia e Ungheria, Brasile, Perù, Messico, Tunisia e Iran.

 

La questione politica non turbò più di tanto i calciatori, la cui gran parte si limitò ad affermare l’estraneità dello sport. Alcune assenze importanti si registrarono comunque, ma i casi di cui si discusse allora sono stati fortemente ridimensionati. Tra questi il forfait più clamoroso lo dette Johan Crujiff, il calciatore più forte al mondo, la cui assenza venne giustificata dalla stampa come obiezione di coscienza. In realtà lo stesso Crujiff qualche anno più tardi dichiarò di aver rifiutato la convocazione per motivi di sicurezza personale (un tentativo di rapimento avvenuto nella sua casa di Barcellona qualche mese prima lo scosse a tal punto da spingerlo a limitare gli spostamenti) e di stanchezza psicofisica. Fece parlare anche l’assenza di Jorge Carrascosa, capitano della Nazionale padrone di casa. ‘El lobo‘, questo il suo soprannome, si ritirò dal calcio a soli trent’anni, poche settimane prima dell’inizio dei Mondiali, senza motivare il gesto e tenendosi in disparte dalle cronache. L’unico, che secondo lo scrittore Paolo Llonto, si rifiutò espressamente di giocare nell’Argentina della repressione fu il tedesco Paul Breitner.

 

Intanto, la stessa Argentina da sempre rappresentava una grande realtà del calcio, ma nonostante i tanti campioni sfornati negli anni dal 1930 non era mai riuscita ad andare oltre i quarti nel campionato del mondo. In vista del Mondiale casalingo l’Afa (Asociacion Futbol Argentino) affidò la nazionale a Cesar Luis Menotti detto ‘El Flaco’, uomo di vedute politiche completamente opposte a quelle del regime, ritenuto però l’unico in grado di rimanere impassibile alle critiche e portare la Selecion al titolo. Menotti cambiò radicalmente la mentalità che il calcio argentino aveva avuto fino ad allora: non più numeri da circo ma individualismo sacrificato al collettivo; non più reazioni plateali ai falli con calci e sputi; non più ‘caudillos’ ma uno per tutti e tutti per uno. Menotti si permise infatti il lusso di tenere fuori dalla rosa un giovanotto di 17 anni di cui si diceva gran bene. Il suo nome era Diego Armando Maradona e, fidatevi, ne risentiremo parlare presto. La sua era una nazionale che aveva la colonna vertebrale formata da uomini d’esperienza e dal sicuro affidamento: il portiere Fillol, il difensore e capitano Passarella, il regista Ardiles a centrocampo e il poderoso e agile Kempes in attacco.

 

Sorpresa azzurra: l’Italia domina la prima fase

L’Italia arrivò in Argentina seguita dal solito strascico di polemiche. Nell’ultimo match di preparazione gli azzurri pareggiarono 0-0 con la Jugoslavia, evidenziando un ritardo di condizione che fece crescere dubbi e ansie da parte della stampa. Ecco perchè, considerato anche il girone di ferro che ci opponeva alla Francia di Michel Platini, all’Argentina padrone di casa e all’Ungheria, tutti ci davano per spacciati. Bearzot aveva costruito la sua Nazionale sul blocco Juve, squadra regina d’Italia negli anni ’70, aggiungendo la stella viola Giancarlo Antognoni e il capocannoniere del Lanerossi Vicenza Paolo Rossi. E nell’esordio con i transalpini, 2 giugno a Mar de la Plata, bastarono 40” per veder rispettato il pronostico grazie al gol avversario con Lacombe.

La rete subita fu però un forte schiaffo che svegliò gli Azzurri. Da quel momento l’Italia iniziò a macinare gioco senza sosta, trovando al 29′ con Rossi la rete del pari dopo una carambola che avrebbe imbarazzato anche la Giappala’s. La rimonta si completò al 9′ della ripresa quando Zaccarelli beffò Demanes con un tiraccio all’angolino. Con questo gol l’Italia vinse l’incontro e sovvertì un pronostico che la vedeva nettamente sfavorita. Ciò che stupì non fu la vittoria in sé per sé, quanto la qualità del gioco espresso, decisamente il migliore tra tutte e 16 le nazionali scese in campo nel primo turno. La sera stessa l’Argentina superò a fatica l’Ungheria per 2-1, mentre 4 giorni dopo gli Azzurri si liberarono facilmente dei magiari per 3-1 (Rossi, Bettega, Benetti). La vittoria sulla Francia per 2-1 rimandava dunque gli argentini a giocarsi il primo posto proprio con l’Italia nello scontro diretto in programma nell’ultimo turno. In un Monumental gremito da 70,000 argentini, molti dei quali di origini italiane, gli azzurri firmarono la loro opera più bella. Dopo aver imposto il suo gioco per larghi tratti del match, costringendo Fillol ad intervenire in più di un’occasione, al 67′ Bettega fulminò il portiere argentino con un preciso diagonale al termine di una combinazione avviata da Antognoni e affinata da Paolo Rossi. Questo 1-0 ci permise di qualificarci come primi e rimanere a giocare a Buenos Aires.

Negli altri gironi la Germania Ovest, orfana di Beckenbauer, Muller, Overath e il sopracitato Breitner, dovette accontentarsi del secondo posto dietro la scatenata Polonia del solito Lato e del giovane Boniek. Non convinse il Brasile, finito secondo dietro l’Austria per aver segnato un gol in meno, ma neanche l’Olanda, qualificatasi per seconda dietro il sorprendente Perù di uno straordinario Theofilo Cubillas e del fenomenale portiere Quiroga, nonostante la sconfitta per 3-2 rimediata contro la Scozia nell’ultimo turno.

 

La ‘marmelada peruana’ spinge gli argentini in finale

La seconda fase, che preveda altri 2 gironi da 4, ci vide impegnati con il meglio del calcio di quel periodo: Germania Ovest, Olanda e Austria. Nel primo match, mentre l’Olanda schiantava l’Austria per 5-1 rispolverando il calcio totale di cui non se n’era vista traccia fin lì, non andammo oltre lo 0-0 contro i tedeschi. Gli Azzurri iniziarono ad accusare i primi sintomi di stanchezza, ma contro l’Austria fu sufficiente la rete di Rossi dopo 13′ per risolvere la pratica e rimettersi in corsa per la finale. La Germania ci fece un favore bloccando sul 2-2 gli oranje, un risultato che, proprio come nel primo girone, rimandava tutto all’ultima sfida. È bene sottolineare che tutte le sfide del girone si giocarono in contemporanea, e mentre l’Austria otteneva una storica vittoria per 3-2 sulla Germania Ovest, l’Italia affrontava l’Olanda nel match decisivo per l’accesso alla finale. La Nazionale giocò un ottimo primo tempo e venne premiata dall’autogol di Brandts al 19′. Nella ripresa però due siluri da fuori area dello stesso Brandts e di Arie Haan, spensero definitivamente i sogni di gloria azzurri. Aspre critiche per Zoff, beffato da un tiro, il secondo, da distanza davvero siderale. Si disse, per il portiere 36enne della Juve, fosse arrivato il tempo di appendere le scarpette al chiodo. Ma come vedremo presto la sua storia con la maglia azzurra doveva ancora scrivere la pagina più importante. La magra consolazione consisteva dunque nell’inedita, per l’Italia, finale per il terzo e quarto posto.

 

Nell’altro girone tutto era stato apparecchiato per mandare i padroni di casa in finale. Giocando ad orari sfalsati, l’Argentina sarebbe sempre scesa in campo già sapendo il risultato dell’altra partita. Il regime però non fece i conti con la rinascita del Brasile, che esordì battendo il Perù con un secco 3-0 esibendo una grande prova di forza. L’Albiceleste se la cavò con un 2-0 alla Polonia firmato Kempes, mentre l’attesissimo scontro diretto con i verdeoro terminò con un deludente 0-0. Dopo la vittoria per 1-0 della Polonia sul Perù, nel terzo turno il Brasile regolò i polacchi con un pesante 3-1. A questo punto l’Argentina, che scese in campo già sapendo il risultato dei rivali brasiliani, per qualificarsi alla finale avrebbe dovuto battere il Perù con 4 reti. Finì 6-0 per l’Argentina, una gara senza storia in cui a fare la differenza furono gli errori del portiere peruviano Quiroga. La partita si giocò a Rosario, città in cui Quiroga era nato e dove viveva la sua famiglia. Inutile parlarvi delle ipotesi di presunte combine e intimidazioni che uscirono dopo quel risultato, una clamorosa ed inaspettata sconfitta in cui il portiere argentino ma naturalizzato peruviano, fece più errori che in tutta la sua carriera. Ipotesi, ovviamente, mai dimostrate e ne confermate.

 

Il 24 giugno al Monumental di Buenos Aires le due deluse del mondiale 1978 si giocarono la medaglia di bronzo: Brasile, deluso per essere stato ‘scippato’ della Finale con una combine anche fin troppo evidente, e Italia, rammaricata per per essere mancata proprio nel momento clou nonostante avesse mostrato il calcio più bello del torneo. Privo di Benetti, Tardelli e Zaccarelli, Bearzot dovette rivoluzionare la formazione azzurra. La prima frazione fu nettamente a nostro favore, una supremazia legittimata dal gol di Causio che a fine primo tempo trasformò in rete un perfetto spunto di Paolo Rossi. Nella ripresa però, proprio com’era accaduto con l’Olanda, la Nazionale mostrò netti segnali di deterioramento della condizione fisica, e a beffarci furono ancora due tiri dalla distanza, uno di Nelinho l’altro di Dirceu, sui quali Zoff non apparse del tutto incolpevole

 

La finale

Il regime era riuscito dunque nel suo intento: fare di tutto per mandare l’Argentina in finale. A quel punto però, toccava all’undici di Menotti dimostrare di essere i più forti.

Come 4 anni prima in Germania, a sfidare nella finalissima del Campionato del Mondo i padroni di casa c’erano ancora loro. Gli inventori del calcio totale, nonostante la perdita del loro Messia Crujiff e del loro mentore Michels, erano riusciti a formare una squadra compatta, capace di rappresentare ancora un’avanguardia brillante a cui il resto del mondo tentava di avvicinarsi.

La gara si giocò in un Monumental inondato da 70,000 spettatori, compreso Jorge Videla e Licio Gelli, qualche anno dopo divenuto noto come Gran Maestro della Loggia Massonica eversiva P2, seduto accanto a lui. La Fifa, anche per omaggiare la bella prova degli Azzurri in finale, designò Sergio Connella come arbitro dell’incontro.

La partita iniziò con qualche minuto di ritardo per il problema sollevato dagli argentini riguardo alla vistosa fasciatura alla mano dell’olandese Renè van de Kerkhof, ritenuta pericolosa. Dopo vivaci discussioni e battibecchi tra il capitano argentino Passarella e gli olandesi, Gonella poté dare inizio alla ostilità. Parola questa che calza a pennello, visto che la Finale fu caratterizzata da un gioco duro senza esclusione di colpi. Se da un lato l’arbitro impedì agli olandesi il consueto gioco intimidatorio, dall’altra fu molto più permissivo con i padroni di casa. Sopratutto con Passarella, il quale rifilò una gomitata che costò due denti a Neskeens senza ricevere sanzioni.

L’Olanda era più squadra, più compatta e faceva la partita, ma mancava dell’uomo capace di accendere la luce e fare la differenza. Qualità che aveva invece Mario Kempes, che al 38′ con un guizzo si infilò in area battendo Jongbloed per la rete del vantaggio.

Nella ripresa il forcing oranje dette i suoi frutti solo all’81’, quando sopo una serie di errori argentini Nanninga infilò di testa un perfetto cross dalla destra di Rep. Pochi minuti prima dei supplementari, Resenbrick raccolse un lancio di Krol e toccò il pallone dalla linea di fondo anticipando Fillol in uscita, ma la sfera toccò il palo e finì tra le braccia del portiere… fu questo l’ultimo sussulto arancione: al 9′ del primo tempo supplementare Kempes ricevette palla da Bertoni, superò due difensori olandesi in area e batté, anche con un pizzico di fortuna, Jongbloed per la seconda volta. La parola fine la mise poi Daniel Bertoni nel secondo tempo, bravo a giare in rete da due passi un’altra iniziativa solitaria del solito Kempes.

 

L’Argentina era Campione del Mondo, mentre l’Olanda, giunta al canto del cigno di una strepitosa generazione, dovette accontentarsi del secondo posto. Gli olandesi, in segno di protesta contro l’arbitraggio scandaloso, lasciarono il campo senza partecipare alla cerimonia di premiazione.

Ma quel Mondiale doveva vincerlo l’Argertina, non c’erano seconde opzioni. Fu il Mondiale del regime, il mondiale dei decaparecidos. Il mondiale che le madri di Plaza de Mayo ricorderanno come l’evento che fece conoscere al mondo, attraverso la stampa internazionale, la tragedia che si stava compiendo e che sarebbe durata ancora cinque anni.

Carlo Alberto Pazienza

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SPECIALE MONDIALI:

> “World Cup Story -Il gioco più bello del mondo” (Part. 1)
Uruguay 1930 (Part. 2)
Italia 1934 (Part. 3)
Francia 1938 (Part. 4)
Brasile 1950 (Part. 5)
Svizzera 1954 (Part. 6)

Svezia 1958 (Part. 7)

Cile 1962 (Part. 8)

> Inghilterra 66 (Part. 9)

> Messico 1970 (Part. 10)

> Germania 1974 (Part. 11)

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