I. Intro
Il racconto “Il Vecchio e il Mare” è l’ultimo romanzo di Ernest Hemingway, scritto nel 1952, che contribuì in modo significativo a fargli assegnare il Premio Nobel nel 1954, “troppo tardi” per come ebbe a dichiarare.
Dopo il compimento de “Il Vecchio e il mare”, infatti, Hemingway, già gravemente compromesso nel corpo da precedenti polmoniti, emicranie, svariati incidenti d’auto, alcolismo, precipitò in una spirale di crisi maniaco-depressive innescate dai danni occorsi in seguito ad un incidente aereo avvenuto a Nairobi, e ancora epatite, nefrite etc. che lo portarono inesorabilmente alla scelta del suicidio il 2 luglio del 1961.
“Il Vecchio e il mare”, come ultimo romanzo compiuto dallo scrittore, già sull’orlo dell’abisso, si dimostra essere una grandiosa immagine simbolica del suo cammino iniziatico e del ciclo rituale di morte e rinascita dell’escatologia cristiana.
Non bisogna, inoltre, dimenticare che il romanzo venne scritto a Cuba, isola caraibica centro nevralgico della Santeria, di quella religione afroamericana sviluppatasi dal sincretismo tra gli elementi della religione yoruba (una particolare specie dell’animismo africano) con il cattolicesimo di derivazione coloniale.
II. Quaresima hemingwaiana
«Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo
ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce.
Nei primi quaranta giorni lo aveva accompagnato un ragazzo,
ma dopo quaranta giorni passati senza che prendesse neanche un pesce,
i genitori del ragazzo gli avevano detto che il vecchio ormai era decisamente e definitivamente salao,
che è la peggior forma di sfortuna…»
Fin dalle prime righe, Hemingway ci mette in guardia: non siamo davanti un romanzetto passatempo, siamo dinanzi una concezione mistica-esoterica del
passaggio tra due mondi, quello contingente della realtà immanente e l’al di là popolato di simboli, archetipi immutati, eterni.
Hemingway lo dichiara nell’incipit: il vecchio pescatore e il ragazzo hanno trascorso quaranta giorni senza prendere pesce.
Il periodo di “quarantena” cristiano è il lasso di tempo di 40 giorni che Cristo trascorre meditando nel silenzio nel deserto: «lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie e gli animali lo osservavano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio e diceva: “il Tempo è computo e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Marco 1, 12-15).
Quaranta sono gli anni che il popolo d’Israele vagò in fuga dagli Egiziani nel deserto del Sinai prima di raggiungere la terra promessa (Bibbia, “libro dei Numeri”); quaranta giorni e quaranta notti è la durata del diluvio universale (“Genesi”), la permanenza di Mosè sul Monte Sinai «senza mangiare e senza bere acqua» per scrivere il Decalogo (“Esodo”).
Il numero 4, così non a caso caro a Pitagora, racchiude e delimita il Cosmo, il Creato: il Tetraktys è il rapporto tra i primi 4 numeri e la decade (1+2+3+4=10) .
Ecco che il Vecchio compie con il ragazzo, in completo digiuno («senza pescare neanche un pesce») l’esplorazione finita del Cosmo.
Al quarantesimo giorno il ragazzo lo abbandona.
Il vecchio può, dunque, dopo essere giunto alla completa conoscenza del finito, intraprendere un diverso cammino in una differente Caverna iniziatica.
Proprio come dopo la “Quaresima”, il Vecchio come Gesù affronterà la Passione e, infine, la morte e la resurrezione.
Così citando Eliade: «Presso gli Ebrei lo scenario arcaico del rinnovamento periodico del Mondo è stato progressivamente storicizzato, pur conservando qualcosa del suo primo significato. Wensinck aveva mostrato che lo scenario rituale del Nuovo Anno, con il quale si intendeva significare il passaggio dal Caos al Cosmo, è stato applicato ad avvenimenti storici, come l’esodo e la traversata del Mar Rosso, la conquista di Canaan, la cattività babilonese e il ritorno dall’esilio, ecc.» (“Mito e realtà”).
Il rito della quaresima, della morte e della resurrezione, è stato incorporato nel Cristianesimo dalle religioni pagane che, a loro volta, hanno attinto
dall’archetipo più primitivo del Primo Uomo preistorico, così come giunto a noi attraverso l’arte primitiva.
Nelle caverne di Lascaux o dell’Addura è inciso e dipinto il primo archetipo del genere Umano, «il sacrificio preistorico “nutritorio” e “uccisorio” con finalità chiuse nella propria vicenda di espressione di simbolo» (Emilio Villa, “L’arte dell’Uomo Primordiale”), sacrificio che era per l’Uomo unica e certa fonte per addivenire al Nutrimento: il sacrificio dell’animale, dell’uomo o l’autosacrifio per apportare il nuovo Nutrimento futuro non veniva inteso nel senso di “privazione/morte”, ma nel senso di “rigenerazione” e di riunione nel ciclo divino/eterno.
L’eco è talmente lungo che si è conservato fino al cristianesimo (agnello-Dio- corpo di Dio- pane- sangue- vino).
Il sacrificare per riottenere nuovo nutrimento è, ancora, nel mondo pre-religioso, simboleggiato dall’uccisione del Re-Mago (J. Frazer, il Ramo d’Oro), l’uccisione annuale del Re alla fine del ciclo agrario e l’incoronazione di un nuovo Re: ciò avveniva nel passaggio cruciale all’interno del ciclo morte-vita temporale/agricola, ovvero a fine inverno ed inizio primavera, allorquando la terra morta darà nuovi frutti.
E non è un caso che nella gran parte delle tradizioni popolari, italiane e non, lì dove il periodo di Quaresima si è innescato al di sopra del periodo della festività del Carnevale, si assiste al c.d. “processo-sepoltura di Carnevale” in cui un fantoccio/feticcio (che in epoca pre-magica era una persona in carne ed ossa), rappresentante il carattere di Vecchio (ex multis la tradizione del “Brusar la vecia” trevigiana etc.) venga bruciato/sepolto.
Ecco, quindi, che Hemingway, dopo lungo girovagare digiuno, fa morire il Vecchio e lo trasmuta in una dimensione naturale-divina.
III. Trasmutazione
«Tutto in lui era vecchio
tranne gli occhi che avevano
lo stesso colore del mare ed erano allegri e indomiti..»
Il Vecchio sepolto/bruciato, entrato in contatto col divino Caos universale/naturale, per non far del male al ragazzo, il quale non ha avuto nessun contatto con la dimensione dell’Al di là, lo allontana da sé…
«“Santiago” disse il ragazzo.
“Sì” disse il vecchio.
Stava stringendo il bicchiere fra le mani e pensava a tanti anni fa.
“Posso andare a cercarti le sardine per domani?”
“No. Va a giocare al baseball. Sono ancora in grado di remare…”»
..e perfino il ragazzo, nel suo inconscio, si rende conto che quel Vecchio non è più lo stesso del giorno prima e che vive, ora, nel suo corpo, qualcosa che lo ricollega ad una realtà estranea, incomprensibile.
Il ragazzo avverte il passaggio del Vecchio dalla dimensione finita del Cosmo a quella del Caos, e di ciò se ne avvede immediatamente allorquando rifiuta il cibo offerto in pasto dal Vecchio.
«“Che cos’hai da mangiare?” chiese il ragazzo.
“Una pentola di riso giallo e pesci. Ne vuoi un po’?”
“No. Mangerò a casa…”»
Questo è quanto trascritto nella Bibbia : «Ecco, l’Uomo è divenuto uno di noi perché conosce il bene e il male. Ed ora non bisogna permettergli di stendere la sua mano per prendere anche dall’Albero della Vita perché, mangiandone, viva per sempre» (“Genesi”), e questo avviene nelle fiabe, che si ricollegano al sistema di credenze delle culture pagane, in Raperonzolo, Biancaneve, Hansel e Gretel, etc. «Chiunque si avventuri nell’Altromondo sa che, se vorrà ritornare a casa, non dovrà mangiare il cibo dell’Aldilà poiché quell’alimento alieno nel momento in cui viene assorbito dall’individuo modificherà la sua stessa essenza rendendogli impossibile passare per la porta di altri mondi. Il viaggiatore mangiando cibo dell’Altromondo diventerà anch’esso in qualche modo un essere ultramondano e quindi destinato a vivere nel mondo nel quale è giunto» (“La vera origine delle Fiabe”, Paolo Battistel), e ciò avviene in tutte la grandi tradizioni religiose e protostoriche: «Lo spalmare ciascuno dei fedeli col sangue dell’agnello è una forma di comunione con la divinità; il veicolo della vita divina viene applicato esteriormente invece di esser preso interiormente come quando se ne beve il sangue o se ne mangia la carne» (J. Frazer, il ramo d’oro).
Cibarsi dell’alimento del Caos/divino equivale a entrare in contatto con il mondo dell’Aldilà, che può costituire un serio e fatale elemento destabilizzante per chi non ha raggiunto un grado di conoscenza del sé (il ragazzo) adeguato.
Così, allora, il ragazzo non mangiò nulla proveniente dal Vecchio, al quale, prima della partenza, portò dello stufato, delle birre e del caffè di proprio pugno.
VI. La grande madre
«Pensava sempre al mare come a la mar, come lo chiamano in spagnolo quando lo amano.
A volte coloro che l’amano ne parlano male,
ma sempre come se parlassero di una donna.
Alcuni fra i pescatori più giovani, di quelli che usavano gavitelli come galleggianti per le lenze e avevano le barche a motore,
comprate quando il fegato di pescecane rendeva molto,
ne parlavano come di el mar al maschile.
Ne parlavano come di un rivale o di un luogo o perfino di un nemico.
Ma il vecchio lo pensava sempre al femminile
e come qualcosa che concedeva o rifiutava grandi favori e se faceva cose strane o malvagie era perché non poteva evitarle.
La luna lo fa reagire come una donna, pensò».
Il Vecchio si avventura da solo sulla sua barchetta fondendosi con il Caos.
Nella cosmogonia afroamericana, in cui Cuba si inserisce come centro fondante della Santeria, quella religione in cui si sovrappongono elementi cattolici importati dal colonialismo storico spagnolo sulla religione autoctona animista/magica di derivazione africana, la Grande Madre è rappresentata dalla dea Yemaja (Wilson E. A., 30 Luglio 2007) , importata dai culti animisti del Golfo nigeriano professati dal popolo Yoruba, e dalla corrispondente, nel sincretismo della Santeria, Vergine della Regola o Vergine de Cobre, equivalente cattolico di Baba Jaga/Demetra.
«“Non sono religioso” disse
“ma dirò dieci Pater Noster e dieci Ave Marie per prendere questo pesce,
e se lo prendo,
prometto di fare un pellegrinaggio alla Vergine de Cobre.
È una promessa”»
Non solo il Vecchio è devoto alla Vergine di Cobre, la Grande Madre Yemaja, ma Hemingway stesso è stato profondamente devoto al suo culto tanto da donare al santuario della Vergine sito a El Cobre la medaglia ricevuta in occasione del premio Nobel.
Il Vecchio riconosce alla natura del Mare l’antico carattere ctonio di Poseidone , antico dio del sommesso e del terremoto (tellurico, appunto), a differenza dei giovani pescatori che ormai riconoscono una differente divinità maschile.
L’acqua è presente in ogni rito di creazione-morte-rinascita: l’acqua e l’argilla per impastare il mondo, le acque diluviane, l’acqua battesimale, l’acqua del Santo
Graal, l’acqua nei riti magici/fertilità della saliva-sangue-vino, proprio in quanto l’acqua è essa stessa fondante il ciclo acqua-vapore-pioggia-acqua.
V. I Cherubini
«… I pesci volanti gli piacevano molto ed erano i suoi migliori amici, sull’oceano.
Pensò con dolore agli uccelli, specialmente alle piccole, delicate sterne nere,
che volavano sempre in cerca di qualcosa senza quasi mai trovar nulla
e pensò: “La vita degli uccelli è più dura della nostra, tranne per gli uccelli da preda, pesanti e forti. Durante la notte, due focene si accostarono alla barca e il vecchio le udì rigirarsi e sbuffare.
Riconosceva la differenza tra gli sbuffi rumorosi del maschio e quelli sospirosi della femmina.
“Sono buoni” disse. “Giocano e scherzano e fanno l’amore.
Sono nostri fratelli come i pesci volanti”.
Poi cominciò ad avere pena del grande pesce che aveva abboccato..».
Parla da solo il Vecchio, da quando ha allontanato il ragazzo, ed è in totale simbiosi con il mondo animale e aiutato dagli uccelli e dai pesci volanti, nel suo viaggio nell’Al di là, per scovare una zona di mare pescosa.
Uccelli e pesci sono da sempre animali-tramite con la Divinità.
Le più antiche raffigurazioni fatte dall’uomo all’interno delle grotte palermitane dell’Addura e di Lascaux mostrano sacrifici compiuti su uomini raffigurati con caratteri ittiomorfici (gambe a coda di pesce) o con i becchi di uccelli.
E così nella Bibbia «io invoco Dio in cerca di una risposta… Chiedi, ti prego alle creature alate dei cieli, e ti informeranno… I pesci del mare te lo indicheranno… Chi fra tutti questi non sa bene che la stessa mano di Geova ha fatto ciò?» (Giobbe); ma ancora nel Corano «E Salomone fu l’erede di David; e disse: “O uomini! siamo stati istruiti al linguaggio degli uccelli e colmati di ogni cosa..”».
Chiarificandoci con Renè Guenon, il rapporto tra umano e divino «viene rappresentato dalla comprensione del linguaggio degli uccelli; e di fatto gli uccelli sono presi di frequente come simbolo degli angeli, vale a dire precisamente degli stati superiori» (“Simboli della Scienza Sacra”); ed ancora, e a riprova del sincretismo all’interno della religione cristiana, l’episodio più famoso della c.d. predica agli uccelli di San Francesco: «andando il beato Francesco verso Bevagna, predicò a molti uccelli…» (“Fonti”, San Bonaventura); e ancora, l’eroe Sigfrido della mitologia norrica che comprende il linguaggio degli uccelli dopo aver bevuto il sangue del Drago.
«“Quanti anni hai?” chiese il vecchio all’uccello. “È il primo viaggio che fai?”
L’uccello lo guardò, mentre il vecchio parlava.
Era troppo stanco perfino per esaminare la lenza e barcollava mentre le zampe delicate la stringevano stretta.
“È ferma” gli disse il vecchio. “È troppo ferma.
Non dovresti essere così stanco dopo una notte senza vento. Dove si dirigono gli uccelli?”».
VI. Il pesce Soter
«La lenza si alzò lentamente e regolarmente
e poi la superficie dell’oceano si sollevò davanti alla barca e il pesce uscì.
Uscì senza fine e l’acqua gli ricadde dai fianchi.
Era lucente nel sole e la testa e la schiena erano di un rosso scuro
e nel sole le strisce sui fianchi apparivano larghe, di un lavanda leggero.
La spada era lunga come una mazza da baseball
e appuntita come un’alabarda
e il pesce si alzò in tutta la sua lunghezza dall’acqua e poi vi rientrò,
dolcemente, come in un tuffo, e il vecchio vide la grande lama falcata della coda andare sott’acqua e la lenza incominciò a filare».
Il Vecchio, viene trainato da un pesce, un Marlin, di potenza mai vista nelle vastità del Caos abissale: «“Pesce” disse con sommessa voce “resterò con te fino alla morte“», attribuendo ad esso un CHIARO ruolo di psicopompo.
Ecco dunque che non può venire meno il raffronto con il più celebre mito di Giona e del grosso pesce: «Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce per tre giorni e tre notti» (“Libro del profeta Giona”).
“Nel libro dei Simboli”, Guenon differenzia il pesce comune (il pesce volante, il tonnetto, la sardina, l’Acquario) dal pesce “Salvatore”: «… l’idea di “Salvatore” è pure collegata in modo esplicito al simbolismo cristiano del pesce, poiché l’ultima lettera dell’Ichthus greco si interpreta come iniziale di Soter [Quando il pesce è preso come simbolo di Cristo, il suo nome greco Ichthus viene considerato formato dalle parole “Iésous Christos Theou Uios Soter”».
Il Vecchio ha preso all’amo il Pesce-Soter, il pesce Salvatore, e la sua barchetta ne viene da esso condotta nelle immensità del Caos ctonio
«“Anche lui resterà con me”, pensò il vecchio,
e aspettò che sorgesse la luce”».
VI. Comunione
«“A quanta gente farà da cibo”, pensò.
“Ma sono degni di mangiarlo? No, no di certo.
Non c’è nessuno degno di mangiarlo,
con questo suo nobile contegno e questa sua grande dignità”».
Il Vecchio, riconosciuto nel Pesce l’incredibile maestosità e forza salvifica, riprende la stessa formula della celebrazione eucaristica prima di ricevere il corpo e il sangue di Cristo nella Messa, e cioè : «Signore non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di soltanto una parola e io sarò salvato» (Vangelo secondo Matteo).
Riaffiora qui l’uomo preistorico, già prima citato, di Emilio Villa: «per “divino” l’uomo primordiale intende Nutrimento Assoluto, Nutrimento Perenne: così come per Dio intende il Nutriente-Nutritivo Assoluto; e allora l’uomo primordiale si esibisce come “consumatore” del Divino”», archetipo che si è trasferito nei vari accenti pressoché in ogni religione.
Il Pesce Salvatore è il corpo di Cristo/Agnello che guida il Vecchio attraverso il compimento del suo ciclo morte/rinascita.
VII. La caverna iniziatica
«Poi si guardò alle spalle e vide che la terraferma era scomparsa.
“Non importa”, pensò. “Posso sempre rientrare con le luci dell’Avana.
Ci sono ancora due ore prima che tramonti il sole e forse lui verrà fuori prima.
Se no, forse verrà fuori con la luna.
Se no, forse verrà fuori con l’alba…”.
Il pesce non cambiò mai percorso né direzione,
per tutta quella notte».
Il pesce Salvatore conduce il Vecchio e la sua barchetta e la traina nel Caos abissale primordiale.
Così come la dea Baba Jaga, Frejya, Persefone; all’interno dello spazio sacro femminile del mare, LA MAR, non vi è occasione di dominio per l’elemento maschile del Vecchio, il quale è completamente estraneo al Caos lunare/ctonio primigenio, pur riconoscendolo (“la mar”), patisce il digiuno, la stanchezza, i crampi muscolari e le visioni.
Il Pesce Soter dal quale è trainato il Vecchio, come la Balena di Giona, e come le divinità ctonie che inglobano il Caos della natura al proprio interno, e proprio in quanto Soter, ha due aspetti.
Così come ricorda Renè Guenon: «… il simbolismo della balena non ha soltanto un aspetto “benefico”, ma anche un aspetto “malefico”, il che, a parte le considerazioni di ordine generale sul duplice senso dei simboli, si giustifica ancor più specificamente grazie al suo legame con le due forme della morte e della resurrezione sotto le quali appare ogni cambiamento di stato, a seconda che lo si consideri da un lato o dall’altro, cioè in rapporto allo stato antecedente o allo stato conseguente. La caverna è a un tempo un luogo di sepoltura e un luogo di “rinascita“, e, nella storia di Giona, la balena svolge precisamente questa duplice funzione… D’altra parte, l’aspetto “malefico” della balena si ricollega manifestamente al Leviatano ebraico; ma è soprattutto rappresentato, nella tradizione araba, dalle “figlie della balena” (benat el-Hut), che, dal punto di vista astrologico, equivalgono a Rahn e Ketu nella tradizione indù, segnatamente per quanto concerne le eclissi, e che, si dice, “berranno il mare” nell’ultimo giorno del ciclo, il giorno in cui “gli astri sorgeranno a Occidente e tramonteranno a Oriente”… dobbiamo almeno richiamare l’attenzione sul fatto che si ritrova qui ancora una relazione immediata con la fine del ciclo e il cambiamento di stato che ne consegue, poiché tutto ciò è assai significativo e fornisce una nuova conferma delle precedenti considerazioni» (“Il Libro dei Simboli”).
VIII. Deposizione
«Alla fine, uno giunse alla testa e il vecchio capì che era finita.
Abbatté la barra sulla testa dello squalo
mentre le mascelle erano serrate nella testa del pesce, che non si lasciava staccare.
Lo squalo lasciò la presa e si staccò rivoltandosi.
Fu l’ultimo squalo della schiera ad avvicinarsi.
Non c’era più niente da mangiare, per loro».
La corsa del Vecchio trainato dal pesce Soter termina – e dopo tre giorni – quando il pesce subisce l’attacco di numerosi squali che scarnificano, morso a morso, il suo corpo, fino a che ne resterà solo la lisca.
È facile in questa immagine narrativa rintracciare lo spirito fondante il sacrificio cristiano alla vigilia della Passione di Cristo, allorquando rivolgendosi agli apostoli dice loro: «prendete e mangiatene tutti: il mio corpo offerto in sacrificio per voi» e così nel rito della Messa riaffermate dal Sacerdote per invocare la discesa dello Spirito Santo affinché consacri il pane e il vino (o le ostie) diventando corpo e sangue di Cristo e , dunque, Nutrimento assoluto.
Anche dal punto di vista animista, l’animale totemico sacro al clan è sacrificato e nutre il clan così che ogni soggetto si rende partecipe del Nutrimento assoluto che l’animale rappresenta (vd. Robert Smith).
Ecco, di nuovo, che tornano a bomba le prime opere incise e pittoriche dell’Uomo dei sacrifici umani e animali dell’Uomo primordiale nella grotta palermitana dell’Addura «si tratta della rappresentazione di un sacrificio umano, forse per autostrangolamento… soggetto e oggetto si presentano come ittiomorfiche, non solo la posizione arcuata e orizzontale “a pesce”, ma anche le estremità delle gambe e delle braccia sembrano essere a pinna; per i piedi diremmo sembrano in forma “sirenica” questo può indurre a credere che ciò abbia rapporto con la preistorica pesca del tonno» (Emilio Villa, “L’Arte dell’Uomo Primordiale”).
Il Marlin Soter, che ha condotto per tre giorni la barchetta, offre il suo corpo in sacrificio per la Salvezza/resurrezione del Vecchio il quale, «è risorto il terzo giorno, secondo le scritture» (Lettera di San Paolo ai Corinzi)
IX. Compimento
«C’erano molti pescatori intorno alla barca
intenti a guardare ciò che le era legato accanto,
e uno era nell’acqua e misurava lo scheletro con un pezzo di lenza…
Finalmente il Vecchio si svegliò…
“Mi hanno abbattuto…”.
In cima alla strada, nella capanna,
il Vecchio si era riaddormentato.
Dormiva ancora bocconi e il ragazzo gli sedeva accanto e lo guardava.
Il Vecchio sognava i leoni».
Il Vecchio è resuscitato, anche se Hemingway non fa intendere se il Vecchio si sia riaddormentato per un breve sogno o per sempre.
In ogni caso, ciò che preme ai fini dell’analisi fin qui condotta, è che il Vecchio è ri-nato dal MARE attraverso il sacrificio del Marlin che ha cibato attraverso la sua carne gli squali, permettendo la sua morte e la salvezza del Vecchio: il cerchio si è definitivamente concluso.
La “Catabasi” del Vecchio, che ha percorso a ritroso “la Mar”, il regno del Caos lunare/femminile/ctonio, l’Al di là, ricalcando quel topos mitologico e letterario che fu di Eracle, Persefone, Ulisse, Orfeo, Hansel e Gretel, è definitivamente conclusa: il Vecchio giace nella sua dimora sognando i leoni, animale simbolo della tradizione cristiana utilizzato per rappresentare Cristo, soprattutto nella cultura afro-caraibica/etiope, denominato appunto il “Leone di Giuda”.
Nell’”Apocalisse”, Giovanni descrive la visione delle cose che «devono presto accadere»; nel libro 5, versetto 5, Giovanni, all’interno della sua visione mistica, vede uno dei vegliardi che gli disse «Non piangere più; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli…», nello stesso modo in cui il Vecchio, riaddormentandosi, sogna i leoni.
Prosegue, poi, Giovanni scrivendo che «“E l’Agnello (Cristo, il Leone) giunse e prese il libro …”, tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione… l’Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione».
Grazie al sacrificio compiuto dal Pesce Leone/Soter, colui il quale ha condotto il Vecchio nel Caos e attraverso il cui sacrificio (Agnello/Cristo) ha salvato il pescatore, il Vecchio è resuscitato, fuoriuscendo dalla Caverna iniziativa/Caos/Mare ed ha accesso al libro della conoscenza: la promessa dell’avvento del regno escatologico si è, dunque, avverata.
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Giancarlo Pitaro
Complimenti Pitaro. Su questo blog continuo a trovare cose eccelse! Magistrale articolo. Bellissimo e grazie !
Uno dei miei libri preferiti. Rileggerne sotto queste visioni e’ stato bellissimo
Grazie
INCREDIBILE. UN CLASSICO LETTO ANNI FA CHE OGGI RIPRENDE VITA NEL BEL MEZZO DI QUESTA ESPERIENZA PASQUALE COSI’ ATIPICA … BELLISSIMO ARTICOLO
GRANDE GIANCARLO PITARO !!!!
COMPLIMENTI ANCHE PER I RACCONTI DEL LIBRO. L’HO COMPRATO. MERAVIGLIOSO!!!!!
su questo blog sempre i migliori approfondimenti
adoro Giancarlo! bravissimo!!!!
Grande man!