Il concerto dei Pearl Jam allo stadio di San Siro del 20 giugno è stato un successo straordinario che ha segnato indelebilmente le pagine del rock in Italia. Era dal 2006 che il gruppo di Seattle, unico sopravvissuto della memorabile stagione grunge, non faceva ritorno nel capoluogo lombardo. Ed è con eccitazione e con qualche lacrima di gioia che posso testimoniare un evento tanto atteso ed emozionante come il concerto di una delle band più grandi di sempre.
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Sono circa le 18.00 quando il fremente pubblico di San Siro si prepara ad assistere, oltre che allo spettacolo rock, alla sfortunata partita della nostra nazionale contro il Costa Rica, trasmessa sui maxischermi dello stadio. Ma ecco che durante gli inni nazionali qualcuno fa improvvisamente capolino sul palco: è Eddie Vedder, in occhiali scuri e maglia della nazionale italiana, che concede allo stadio una inaspettata “Porch” in versione acustica, e riscalda gli animi preludendo allo show serale.
Gli spalti e il sottopalco sono già gremiti di migliaia di fan provenienti da tutta Italia. Finalmente verso le 21 i riflettori si accendono, puntati sui quei ragazzi terribili di Seattle, un po’ invecchiati da come ce li ricordavamo agli albori, certo, ma sempre di eccezionale energia.
Gli “effetti speciali” sono ridotti all’osso per lasciare spazio ad una band che, instancabile, vibra con potenza per tre ore quasi filate, con 35 brani, tutti eseguiti magistralmente. La voce di Vedder non perde vigore neppure per un istante: è questa la vera perla del gruppo, un cantante di straordinario talento e di profonda umanità.
Le danze si aprono con “Release“, pezzo evocativo dell’album “Ten“, proseguendo con una sapiente mistura di estratti dall’ultimo lavoro “Lightning Bolt” (“Sirens“, “MYM“, “Swallowed Whole“) e brani storici che commuovono come “Black”, “Given to Fly“, o che infiammano come “Even Flow“, “Rearviewmirror“, e la taglientissima “Jeremy“.
I cinque di Seattle non si fermano mai, tengono fede alla religione rock e alla sua intensità, e al grunge, ma con un piglio di estrema vitalità e voglia di stupire e far sorridere. Non mancano a cascata assoli di chitarra di McCready e virtuosismi vocali di Eddie. San Siro è in tripudio, la musica è tanto coinvolgente da poterla godere persino ad occhi chiusi.
Il carismatico frontman condivide con il pubblico i suoi pensieri riportati su un blocchetto, da esprimere in un italiano balbettante e avvinazzato, e ricorda di come abbia conosciuto l’amata moglie, inquadrata durante l’esibizione, proprio a Milano per la prima volta. I momenti più romantici e delicati vengono controbilanciati da accessi di rock e potenza pura, sigillando poi in bellezza con un inno alla musica e alla libertà: “Keep On Rocking In The Free World“.
Tutto lo stadio impazzisce di eccitazione e grida al bis, che non si limita a qualche pezzo ma ne registra ben tredici! Sono in molti quelli che si lasciano andare al ritmo incalzante del sound della band, cantando a squarciagola i brani preferiti e ballando come ossessi (mi ci metto anche io).
Immancabile in chiusura della scaletta la deliziosa quanto variabile –a seconda dell’umore della band–”Yellow Ledbetter“.
Quando lo spettacolo volge al termine il congedo fra il gruppo e il suo pubblico è tutt’altro che freddo: pareva di poterlo abbracciare quel cantante che, visto dal terzo anello, sembrava un puntino nella vastità di San Siro.
Francesca Cordaro
meraviglioso!
LOL
che bellezza!
in quella vastita c’ero anch’io! grazie a F. Cordaro!
si capisce tutto quando Vedder è arrivato all’improvviso e prima del tempo solo per l’antipasto di Porch…sono bella gente! 😉 🙂
con rearviewrmirror ogni volta credo di morire……..spettacolari!
bel report della Cordaro! grazie Uki!
la partenza di realise è stata da sturbo! il finale da piangere.sempre grandi!
me li sono persi. meno male ad uki…grazie a Cordaro.
Vabbé… la prossima 🙁
bellissimo concerto e bellissimo articolo… brava Francesca 🙂