Marcel: quindici anni, magro quasi osseo, i capelli sconvolti da un incidente giovanile altamente elettrico.
Lui aveva fondato il Collettivo Femministe Strasburgo.
Diciamo che più che fondarlo, aveva messo a disposizione il suo vecchio magazzino.
Il magazzino era, sostanzialmente, uno stanzone al piano terra di un palazzo grigio e nero.
Puzzava di vecchio, di esperienza secolare, di anime perse in perpetua collisione.
Il magazzino era stato del padre di Marcel, fulminato un anno prima da un infarto forte come un sisma.
«È come se gli fosse esplosa una supernova dentro il petto» dissero i medici a Marcel e alla madre.
Il padre di Marcel vendeva lampadari, il magazzino serviva per conservare la merce invenduta.
Dopo la sua morte, i proprietari dei bar dove beveva a credito da anni, erano andati al magazzino e avevano pignorato tutto.
Non rimaneva altro che il vuoto cavalcante e la polvere liquida.
Non c’era musica, non c’era forma, non c’era sensazione, la luce veniva filtrata dai vetri opachi di due finestroni, unico affaccio sul mondo di quella ampia cripta, quasi duecento metri quadrati di silenzio.
Simonette conosceva Marcel sin da quando lui era al mondo, abitavano nello stesso pianerottolo.
Lo aveva visto venire su lentamente, si ricordava lo stupore nel vederlo tornare dall’ospedale con i capelli letteralmente elettrizzati.
Lei era approssimativamente una donna, studiava cinema, portava i capelli raccolti, aveva il naso storto e odorava sempre di erba.
La ribellione le crebbe dentro, anni addietro, la cinse, le prese il corpo e poi la mente, se ne nutrì con la costanza di un grande parassita.
Simonette era una delle otto componenti del Collettivo Femministe Strasburgo, una delle otto donne pronte a tutto, in una città desolata e fredda, dove non c’era più spazio per la tenerezza, dove non avevano più luogo i ricordi, dove la grandine masticava le giornate e le rendeva cibo per pesci.
«Ciao Marcel, senti, ma cosa ne è adesso del vecchio magazzino di tuo padre?»
«È vuoto, non c’è più nulla, sono venuti la settimana scorsa dei signori e si son portati via tutto»
«Ti scoccerebbe se una volta alla settimana, io e le mie amiche, venissimo nel magazzino per fare delle riunioni?»
«Simonette, purtroppo non posso darvi le chiavi…»
«Puoi aprirci tu e rimanere con noi, se ti va»
E così avvenne e venne l’estate, che travolse le esistenze con i primi venti caldi.
Le ragazze del collettivo si riunivano ogni martedì sera.
Sobillavano, dissimulavano, si muovevano a mezz’aria, trainate dal fervore, dal dissenso politico, dalla genesi dei loro turbamenti.
Marcel le scrutava, con il respiro frenato dai nodi in gola.
Le ascoltava totalmente assorto, mentre leggevano poesie, mentre pianificavano manifestazioni, mentre cullavano l’eversione come fosse il loro figlio primogenito.
«Marcel, cosa ti è successo ai capelli?» chiese una volta Beatrice, la piccola del gruppo.
«Oh, è una storia vecchia, da bambino infilai la lingua nella presa del televisore»
Beatrice: la piccola del collettivo, una vergogna smisurata per i suoi grossi seni bianchi, che fasciava con una benda nera, per non renderli visibili al resto della gente.
Marcel passava le giornate aspettando solamente che arrivasse martedì, per potere stare con le ragazze.
Una strana, ancestrale curiosità teneva incollati i suoi occhi su quelle figure, sulle otto donne del collettivo.
Poi una sera, dopo la riunione, rimasero in tre nel vecchio magazzino.
Marcel, Simonette e la bionda Marlene.
Simonette si avvicinò lentamente e disse “Marcel, adesso non dire più nulla”.
Si chinò e fece scivolare giù la cerniera del giovane, attonito, Marcel.
Lo baciò lentamente dove nessuno aveva mai fatto prima.
Quando fu il momento, la bionda Marlene abbassò le calze e si sistemò sopra di lui.
Simonette guardava e si procurava piacere, seduta sopra uno scatolone di cartone.
Il martedì seguente le otto donne del Collettivo Femministe Strasburgo erano di nuovo nel magazzino di Marcel.
Lessero i versi del poeta.
Dopo la riunione rimasero in cinque.
Simonette, Marcel, la bionda Marlene, la nordica Maria e Beatrice, la piccola del gruppo.
Senza scomporsi, le ragazze, spogliarono Marcel e iniziarono a ricoprirlo di carezze.
Si arrampicavano, una dopo l’altra, sul loro nudo amuleto quindicenne e gli sussurravano dolcezze.
Il piacere in persona sconvolse le budella di Marcel, fino a portarlo ad un’esplosione di felicità.
In un batter di ciglia era già passata un’altra settimana.
Le ragazze erano puntuali come sempre.
La riunione durò un paio d’ore, si parlò essenzialmente di anarchia come forma di governo.
Al termine della discussione, tutte le ragazze del collettivo si fermarono nel magazzino.
Si denudarono e si strinsero in un cerchio.
In mezzo al cerchio, l’elettrico Marcel.
Simonette, voce secca, disse «Marcel, per cortesia, chinati e facci a godere, a turno, con le dita e con la bocca».
Marcel annuì e si inginocchiò di fronte a lei.
In mezzo alla polvere e al silenzio, Marcel fluttuò da un corpo all’altro, senza fretta, con tutto l’amore del mondo, l’amore che solo i giovani cuori sanno serbare ed eternare.
Poi venne la notte, soffiando sulle foglie, portando via con sé i giorni, i mesi e gli anni.
Il Collettivo Femministe Strasburgo si sciolse, tuttavia rimase sempre il nido di tutti gli amori di Marcel.
..di Giuseppe Catanzaro
e chiamali amori…. 🙂
il sogno di tutti gli adolescenti
bella la poesia
penetrante racconto….molto bello. complimenti a Giuseppe Catanzaro
Woo! molto intenso nella sua dolcezza. bel racconto di Catanzaro. bello davvero!
LOL
mi fa male guardare dawson’s creek
ahahahah!!! però scrivi cose suggestive….
bel raccontino
Grande Saint Marcel !
Bel racconto del Catanz che ci fa sorridere e ci transporta con molta facilità