Questa RUBRICA parla di quel “consumo” incivile fatto da una società mercificata, la nostra; la stessa che qui prova a resistere con gesti locali e altre forme di autodeterminazione culturale (ispirati non di rado dal ‘mangiar e bere bene’)… mentre quel carrello della spesa si è smarrito in un momento di disattenzione del suo aguzzino
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Da ‘un po’ di tempo’, da quando cioè Noah finito il diluvio universale ha piantato i primi semi della storia, ergo da quando abbiamo smesso di essere cacciatori e nomadi per diventare una popolazione stanziale, il surplus prodotto dai contadini ci ha permesso di creare nuovi classi, che si sono dedicate, alla difesa, alla religione, alla conquista e al mantenimento del potere, alla burocrazia e all’intercettazione della “Domanda”… e infine quando non sapevamo più che far fare a quel mercato, ci siamo inventati il “marketing”.
Il marketing nasce con l’esigenza di promuovere prodotti al commercio, evitando di lasciare invendute cose inutili e dannose. Per alcuni individui è stato il modo di evitare di studiare: l’italiano principalmente, soprattutto la letteratura classica, testi di Filosofia e Storia, di Economia, un qualsiasi compendio di Logica o Etica, e inventarsi un mestiere che non richiedesse queste nozioni..
Il marketing pare sia venuto in mente ad un “Lazzaro” partenopeo Ciro “o’ scugnizzo”, nel IV sec. a.C., che durante l’invasione Achea riuscì a vendere delle statue d’imitazione Nolana, passandole per Micenee e di Persephone… “Accattateville è belle Veneri ateniesi”.
Oltre lo scherzo, il marketing è quella materia che cerca di intercettare i gusti e l’attenzione delle persone per vendere un qualche prodotto, servizio. Risulta facile se si tratta di beni primari, risulta impervio se il prodotto è inutile, dannoso e non serve a nulla.
Per giunta nel nostro XXI secolo, mentre l’umanità sogna la conquista dello spazio, di trovare libertà, equità e giustizia… il marketing farmaceutico, chimico e di servizi inutili produce sempre nuove trovate per infinocchiarci e rendere inutile la conoscenza.
Figlio della pubblicità, il Marketing altro non è che il modo di far conoscere un’attività, indurti a fare rate, creare dipendenza, ipnotizzarti e infilarsi nel tuo subconscio per farti spendere denaro che di solito non hai. Maggiore è la difficoltà di collocare un prodotto più infima e aberrante sarà il metodo per infinocchiarti.
Si parte dal presupposto principe: ti convinco che stai facendo un’affare – il ‘pollo’ o cliente deve desiderare di avere quel “servizio” per risolvere un problema di identificazione di gruppo, di appartenenza ad una “setta”, di integrazione in un ipotetica élite di conformisti, o semplicemente di esclusività. A quel punto il prodotto può essere ad edizione limitata (fosse anche un deodorante a basso costo), è vintage (ma prodotto in serie infinita), è esclusivo, cioè lo hanno in pochi, oppure da collezione. Vi faccio un esempio pratico: gelati in edizione limitata (tipo il “Magnum” della “Nestlè-Algida”, sebbene ne seguono sempre altri). Pentole inutili e asciugamani in edizione premium. Automobili in edizione limitata firmate da qualche stilista… Cose “orrende e in serie” già negli anni 70 ma ristampate e vendute come Vintage. La ristampa in vinile dei dischi di Eros Ramazzotti… Esempi spicci ma indicativi della derivazione del Marketing e dell’incapacità reale di alcuni pubblicitari e di alcune cose. Tuttavia esistono modi e sistemi più terribili e impattanti.
Di fatto i produttori di chimica riescono a convincere il pianeta a vaccinarsi per la Viaria; e il signor Dick Cheney fa vendere alla Pfizer 9 miliardi di dollari di vaccini per un’altra malattia a mezzo mondo civilizzato. Oltremodo non c’è ambientalista vegetariano o vegano che non si nutra di Mais e Soia OGM seppur siano i primi a odiarli! D’altronde chi di voi non è oltremodo contento di risparmiare qualcosa sulle bollette? Anche se per qualche motivo che non sto qui a spiegare, si paga sempre la stessa cifra…
Il male va curato. Ma il male viene indicato nel dito mentre la luna tracolla.
Ebbene, ho grande stima di Riccardo Perrone, l’inventore delle Campagne della “Taffo Funeral Service”, a mio avviso un genio pubblicitario, anche se per tutto il resto siamo di fronte all’acquisizione più o meno lecita dei vostri dati e gusti personali (la maggior raccolta e diffusione avviene attraverso campagne Adv e personalizzate).
Racconto spesso che la cosa che mi diverte di più è quella che, ogni tanto, per farli smettere di bombardarmi su Internet con pubblicità a me mirate e per cercare di sviare il Logaritmo che intercetta le mie decisioni, clicco appositamente o uso come parole di ricerca oggetti del desiderio inverosimili, magari in settori che mi sono indifferenti, così tra ricette di Gulash, preservativi usati poco, uncinetto e maglia, oltre a macchine agricole… cerco di spiazzarlo e farmi mandare pubblicità che non guarderò mai (un consiglio: non usate mai termini o riferimenti a “toys” o gadget a sfondo sessuale, non ne uscirete poi facilmente!).
Il peccato è l’aver sovraccaricato le pagine Web anche di alcuni Blog con inserzioni a pagamento click to pay, cosa che ha reso improbabile la lettura digitale di molte testate, cosa che mi porta ad un’ulteriore osservazione. La merce proposta in vendita soprattutto sui Social sono le persone stesse! Il prodotto è la persona. E la persona si svende cercando di comparire in un mare magnum di pubblicità. Il che mi fa arrivare alle ultime pratiche di narcisismo e di promozione in auge: i Social Network, appunto.
Insomma, gli impervi scugnizzi del ‘pacco’ attraverso Internet, studiano metodi sempre più economici e persuasivi nella ricerca del marketing personalizzato. Ebbene, se io mantengo un minimo di lucidità e di resistenza lo devo alla matrice analogica da cui provengo, e a quei modesti studi, lontani nel tempo e nella memoria, che mi spingevano al distacco dalla “Verità” conclamata dai Media. Sono e rimango un “massimalista”, cioè mi pongo sempre una domanda: “bene, tutto questo è interessante, ma alla fine chi paga il conto?”.
Io so’ bene che Marx era in ‘errore’ ma a brevi cenni vi racconto che il “Capitale” (umano o economico) produce ricchezza in due modi: per “patrimonio“, cioè finanziario, o per “tempo-interessi“. Senza scadere nel Sovranismo o nel “gomblottismo” ricordiamoci che oggi la Banca Centrale emette denaro, sempre e comunque, “a costo zero” o a meno 0,25%, quindi, il denaro produce zero reddito se non messo in circolazione – perciò sarebbe preferibile produrre o acquistare beni durevoli. A questo punto ricordiamoci che per “lavoro” s’intende il tempo dedicato ad un’attività in cambio di denaro: il capitale permette l’acquisto di mezzi di produzione materiali e macchinari, questi attraverso il lavoro, la loro trasformazione e la distribuzione, producono un reddito maggiorato. La percentuale di distribuzione del “Surplus“, la differenza tra costi delle materie e costi derivati, divide il mondo tra equo o iniquo. Se, come nel caso, il costo del lavoro su un singolo iPhone incide per 5,25 dollari al pezzo e 11 dollari la materia prima, il profitto esentasse (perché prodotto in Corea e venduto nel resto del mondo senza tasse) produce circa 750 dollari di profitto esentasse: è quindi sproporzionato e iniquo.
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Ma se per venderlo uso gli “Influencer“?
A questo Marx non ci aveva pensato, e nemmeno io. Per vendere oggi non serve più promuovere il prodotto ma serve che qualcuno mi dimostri che averlo è un valore aggiuntivo. E questo determina un prezzo sproporzionato per il valore aggiunto che ne ricavo. Quindi vale di più mostrarsi in rete che produrre fisicamente il prodotto.
A questo punto mi dovreste spiegare perché qualcuno dovrebbe comprare un telefono da 16 dollari per circa 750 se non 1000$. Le risposte suppongo saranno le più disparate. Supponendo che siano vere… vi si è mai posto il problema che sarebbe meglio dare 200 dollari a tutta la filiera produttiva e lasciare che siano gli operai a comprarseli, che sono molti di più e ne hanno maggior bisogno!? Quello che fanno nel Marketing è nascondervi questo: il vero valore delle cose. Non esiste un prodotto più emozionale, semmai più o meno utile, più o meno resistente. L’empirismo cela una fregatura… solo una prova fisica permetterebbe la valutazione delle qualità.
Ma oramai credo sia troppo tardi.
Se il Surplus del lavoro, di un prodotto, è la ricchezza, dove finisce il lavoro di un Blogger o di un Influencer? Il mio tempo è la resa che offro in cambio di un qualcosa.
A noi analogici si diceva moneta, tasse contro servizi, beni e servizi in cambio.
Oggi si offre notorietà, talvolta breve alle volte lunga.
Mio padre avrebbe detto braccia rubate all’agricoltura. Non aveva torto.
Il piano è quello di portare il prodotto a conoscenza del pubblico (letteralmente). Dagli “urlatori”, ai manifesti, dai giornali ai Media (radio, televisione)… abbiamo sviluppato una serie di metodi e sistemi, spesso aggressivi, per imporre o promuovere prodotti attraverso le più svariate e incredibili trovate. Alle volte ti viene voglia di comprare il prodotto solo per lo sforzo che ha profuso l’Account pubblicitario.
Lo stile di vita dell’Influencer può sembrare incredibile, ma i redditi incerti, la vulnerabilità performativa e il trambusto per la sponsorizzazione possono richiedere un tributo non indifferente.
Non ci volle molto perché Jessica Zollman accumulasse un enorme seguito su Instagram. Come quinta impiegata dell’azienda e 95a utilizzatrice dell’App nel 2011, era al pianterreno del colosso della tecnologia un anno dopo il suo lancio, consigliando agli utenti le migliori pratiche che sono ora radicate nel DNA stesso dei Social Media. Naturalmente, decine di followers si sono riversati sul suo Account. Fotografa di professione, Zollman, 34 anni, si ritrovò presto a nuotare in opportunità di “lavoro commerciale”. Così ha lasciato Instagram nel 2013 e si è unita a un’Agenzia fotografica e pubblicitaria, dove è diventata una fotografa itinerante che spara per conto di Marchi e sponsorizza prodotti con l’occasionale post #sponsored. La sua nuova Insta-fama le è valsa rapidamente un passaggio su un «bellissimo treno misterioso, facendo una quantità di denaro davvero, davvero impressionante» come influencer, dice. Ma quattro anni dopo, il ‘treno’ si fermò di scatto, lasciandola ad arrampicarsi.. finanziariamente. «La saturazione del mercato è avvenuta», afferma oggi. «Le persone hanno iniziato a notare quanto redditizio fosse quel tipo di lavoro, e così diventare Influencer è divenuto un nuovo obiettivo». I marchi non pagavano tanto, giacché molte persone lavoravano per meno o addirittura gratis. «Ho dovuto ridurre la mia tariffa giornaliera. Ho dovuto lavorare due volte più duramente per il doppio di meno», afferma. L’impatto psicologico della lotta per il lavoro, unito all’ondata di competizione, fu sufficiente a Zollman per abbandonare lo stile di vita dell’ “influente” e tornare all’opposto polare: un tradizionale lavoro dalle nove alle cinque. «Ho appena avuto questo momento in mi chiedevo tipo: “Perché mi vergogno così tanto dell’idea di dover trovare un lavoro?”», dice. Fare affidamento su Instagram per la convalida creativa e le entrate regolari l’aveva lasciata emotivamente esausta, e alla fine ottenere un lavoro stabile sembrava la cosa migliore per la sua salute mentale. Zollman non è il solo Influencer ad essere disilluso di ciò che lei chiama la “performance di canto e danza” del settore. Gli esperti dicono che è la prova del cambiamento; una sorta di affaticamento che colpisce non solo gli Influencer, ma anche i Marchi e i consumatori, che sono giustamente scettici nei confronti di molti post sponsorizzati che ingombrano i loro Feed di notizie.
Il settore rimane enorme: si prevede che il Marketing degli Influencer diventerà un business da $15 miliardi entro il 2022, e i marchi sono più pronti che mai a buttare i loro soldi alla prossima Kim Kardashian. Non solo, nonostante l’afflusso di capitali, le aziende stanno diventando sempre più caute nella scelta del talento degli Influencer. Secondo Karen Doolittle, direttore dei Social Media di una società pubblicitaria di Los Angeles: «Alcuni casi di frode influencer di alto profilo – quando gli Influencer hanno gonfiato artificialmente la portata dei loro Account o inventato narrazioni personali – hanno aiutato il pubblico a diventare “più accorto ed esigente”», dice; «..e ora c’è “un’esitazione, e quasi diffidenza, sia per i consumatori che per i marchi» quando si tratta di “influenzatori”. Un’agenzia di Pubbliche Relazioni in Australia ha persino abbandonato del tutto gli Influencer all’inizio di quest’anno, affermando che le Campagne di Influencer erano troppo costose e spesso fornivano metriche false o fuorvianti sulla portata online dei marchi. Gli Influencer, notò l’agenzia, si sono dimostrati interessati e hanno commentato i post degli altri per aumentare artificialmente le loro prestazioni.
Tuttavia, nonostante questi sporadici segni di respingimento del settore, Doolittle afferma che i Marchi restano disposti a investire in influenzatori con enormi seguiti. «Per quanto riguarda la tendenza di quei tipi di creatori che sono stati in grado di generare un pubblico così vasto, penso che continuerà a crescere», afferma. Anche la domanda di contenuti continua ad aumentare, dichiara, ma con l’aumentare della concorrenza tra i medi e i micro-influenzatori, «un concerto di influencer costante sarà più difficile da trovare per molti».
Questo mercato troppo saturo, combinato con l’incessante domanda di contenuti, ha costretto alcuni influenzatori a chiedere se il trambusto valesse il profitto limitato. Daniel Volland, 35 anni, si è sentito sicuramente così. Travolto dal clamore dei primi giorni di Instagram, Volland ha lasciato il suo lavoro come optometrista per diventare un Influencer nel 2014. Eppure un anno dopo, dopo aver viaggiato negli Stati Uniti per due viaggi fotografici sponsorizzati, si è ritrovato a vivere in un AirBnb a Los Angeles, incarnando un cliché da creativo indipendente sottoccupato nella capitale mondiale dello spettacolo. «Una grande componente per me è stato lo stress finanziario – non essere in grado di pianificare un futuro», afferma. Sappiamo che Instagram si allontana da un newsfeed cronologico mal gestito per suo conto – così Volland stava costantemente perdendo follower e il loro coinvolgimento. «Il mio pubblico è in costante calo»… sentiva anche che la piattaforma era cambiata. Instagram è iniziato come un parco giochi creativo per i fotografi, ma Volland ha ritenuto che la libertà artistica veniva soffocata mentre il Social si evolveva in un’altro tipo di piattaforma commerciale, strutturata attorno a celebrità e inserzionisti. «Ciò che è glorificato su Instagram ora è drasticamente diverso da ciò che è stato glorificato su Instagram nel 2012», afferma. Ora Volland è tornato a tempo pieno in optometria, eseguendo la propria pratica ad Anchorage, in Alaska. Sebbene continui occasionalmente a dilettarsi, nel posto pagato, sul suo Account da 81.000 follower, ora è a migliaia di miglia di distanza dal mondo dei contenuti sponsorizzati – tra esibizione e approvazione…
Anche quelli che vivono ancora quello stile di vita possono risentirsi in certe occasioni. Brianna Madia, 29 anni, attualmente vive la #vanlife che è arrivata a rappresentare l’epitome di un Influencer millenario, documentando i suoi viaggi nel deserto con suo marito e due cani. Mentre il suo stile di vita itinerante potrebbe sembrare un sogno per i follower, Madia afferma che si è stancata di soddisfare un pubblico di “285.000 capi”. Dice che cancellare il suo Instagram è qualcosa che sogna di frequente. «So che questo è un lampo nella padella e so che non sarà per sempre». Lei prende in particolare considerazione il tipo di “porno vulnerabilità” che dice il suo pubblico esige, dicendo: «Quanto puoi essere vulnerabile? Quale informazione posso esporre su di me? Quanto posso aprirmi il petto per tutte queste persone?».
Anche la nostra Jessica Zollman potrebbe benissimo riferirsi a questa idea di vulnerabilità performativa; può affermare che i fan bramano le relazioni con influencer e celebrità che mostrano candidità online. Eppure lei ricorda che esiste una linea sottile tra “sincerità credibile” e “vulnerabilità commerciale”… per simpatia e coinvolgimento. I fan, d’altra parte, possono essere pronti a livellare le critiche quando un post non soddisfa le aspettative: «A volte può sembrare che [i fan] stiano aspettando persone che ammirano o guardano in su per fallire pubblicamente per l’intrattenimento», dice . «C’è qualcosa di veramente rovinato dal fatto che sia normale e accettabile». Madia afferma inoltre che le è stato chiesto di approvare tutti i tipi di prodotti che non avrebbe mai usato: pillole dimagranti, taser, “pistole rosa progettate per le donne in movimento”… Oggi, dal momento che suo marito guadagna uno stipendio costante, è in grado di abbassare le piazzole sbagliate. Ma non tutti gli Influencer hanno quel lusso: se Madia non approva un prodotto, lo farà qualcun altro. E la caccia alle conferme virali ha creato una sorta di frenesia del mercato, con i Marchi che coltivano i loro prodotti verso una rete sempre più ampia di influencer.
Questo ha creato una maggiore possibilità di falsificazione nelle Campagne: più influencer sostengono i prodotti che potrebbero non utilizzare, il che è qualcosa che i fan possono notare e denunciare rapidamente. «È vero che la fiducia del pubblico nei confronti degli influencer si è ridotta man mano che il mercato è diventato più saturo», afferma Doolittle. Se i contenuti sponsorizzati: «risuonano e sembrano pertinenti, le persone si impegnano. In caso contrario, non seguono più».
Jasmine Sandler, esperta di Marketing Digitale a New York, ha visto fallire le campagne degli influencer quando i Marchi «hanno scelto l’influencer sbagliato che non era correlabile al pubblico». Mentre il Marketing degli influencer avanza, si tratterà di promuovere un maggiore senso di «fiducia e credibilità» tra marchi e consumatori. Meno nicchie di livello intermedio, Doolittle è d’accordo. Per dissipare il crescente scetticismo del pubblico, i Marchi cercheranno «partnership che dimostrino il tipo di autenticità» che manca al concetto di «quello che è fatto è fatto, raggiungilo e lascia perdere i suoi contenuti».. che oggi potresti vedere sparsi sul tuo Feed Instagram, dice. A tal fine, ci saranno più Campagne a lungo termine sulla scia degli ambasciatori tradizionali del Marchio, e anche un focus sui micro-influenzatori il cui pubblico più piccolo è più simile ai consumatori.
Probabilmente tutto ciò renderà sempre più difficile per i creatori di livello intermedio come Zollman e Volland ritagliarsi una nicchia, mentre il mondo dell’influenza finanziariamente precaria stira i suoi nodi. Per Zollman lasciarsi tutto alle spalle è stata una grande decisione, ora supervisiona la fotografia e il Marketing per un’azienda di caffè di Los Angeles come Coordinatrice Visiva, e non sente più la sua autostima così intrecciata con il suo lavoro. Mantiene ancora una pagina Instagram e pubblica occasionalmente post sponsorizzati per i suoi 216.000 follower, ma lo fa alle sue condizioni: «Non mi sento come se avessi rinunciato a qualcosa», dice. «Mi sento come se avessi un lavoro di un giorno in modo da poter ancora fare arte e fare arte che mi faccia sentire bene».
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Daniele De Sanctis
sempre interessante, simpatico De Santis… vengo a conoscenza di molte cose su cui riflettere
sempre grazie ….
gli influencer sono in altra categoria di illusi prodotta dal capitalismo ,fanno soldi ma non puo’ durare per sempre . solo noi consumatori sembriamo non smettere mai di comprare bufale
in effetti anche se è un lavoro molto creativo e lodevole, il marketing è comunque uno strumento del commercio . il problema è che il mercato è in mano al capitalismo che alla fine inquina tutto cio che tocca. anche il marketing è diventato un mero mezzo di diffusione di menzogne
interessante la disamina degli influencer….
complimenti Daniele De Sanctis
l’esempio riportato della Zollman ci fa capire che, attualmente, il lavoro, che oggi va inventato, te lo devi allora cucire addosso… altrimenti il mercato ti fagocitera’ sempre!!!!!
interessantissimo post. grande de Sanctis !!!!