La città dei clown: un alter ego per una vita d’inferno

Quando ti dipingi di bianco, e diventi uno di loro, tutto cambia... come nell'opera prima di Will Elliott

Da Stephen King a Heinrich Boll, dai Simpson a McDonald’s: poche figure sono entrate nell’immaginario collettivo come quella del clown, seppur con tutte le differenze del caso.

Quanti di noi, da bambini, hanno avuto il terrore dei clown?! Eccomi!! Io! Sono una di quei bambini terrorizzati da “IT“, con la paura che da un tombino uscissero palloncini colorati, o ragni dal rubinetto del bagno.

Ancora oggi i pagliacci del circo non mi piacciono, ho sempre l’impressione che dietro quei nasi rossi, quei sorrisi tristi e quel cerone bianco si nasconda qualcosa di terribile.

Ma perché parlare di questi buffi (?) personaggi circensi? Perché, nella mia irrefrenabile ricerca di un libro da leggere, mi sono imbattuta in “La città dei clown“, opera prima di Will Elliott, scrittore australiano che con questo romanzo è balzato dall’anonimato di una vita al di sotto del livello di povertà, alla fama internazionale.

Titolo originale del libro è “The Pilo Family Circus“, ma come spesso in Italia accade, il problema della distorsione dei titoli in fase di traduzione, spunta anche in letteratura, non solo al cinema.

Circo malefico e clown demoniaco non sono certo novità, ma Will Elliott è riuscito a trattarle con una certa originalità. Giocando con i riferimenti passati e facendo i conti con tutto ciò che sull’argomento è stato detto/scritto/mostrato, Elliott stravolge e reinterpreta il tutto in chiave horror, con risultati non male.

La città dei clown” racconta la storia di Jamie, un ventenne australiano, un po’ sfigato e con un lavoro mal pagato, con l’affitto da sborsare per una stanza in una casa fatiscente al limite dell’emergenza sanitaria. Una sera un incontro, apparentemente fortuito, con un trio di personaggi travestiti da clown, cambia la sua vita. Da quel momento inizia il tracollo della sua esistenza: Jamie viene spiato, seguito, malmenato dal gruppo di clown per aver preso loro un sacchetto di velluto contenente una strana polverina. Per liberarsi da questo tormento Jamie si decide ad accettare le istruzioni che gli vengono date dai pagliacci, e si trova così catapultato in una sorta di realtà parallela, quella dell’infernale vita circense del Pilo Family Circus, che ha sede in una specie di limbo ed è retto da regole che nulla hanno a che fare con la vita così come la conosciamo. Sotto un’apparenza fatta di tendoni colorati ed emozionanti attrazioni si cela una realtà malata e violenta: il circo è popolato da maghi omicidi, pagliacci sadici, e mostri e mostriciattoli psicotici che attirano l’ignaro pubblico per scopi che poco hanno a che fare con l’intrattenimento. E se il rapporto tra realtà e circo ha esiti fatali, anche tra gli artisti la situazione è tesa: clown, acrobati, nani, zingari e freaks sono pronti ad uccidersi per poter emergere, per mettersi in luce e compiacere i fratelli Pilo: chi soddisfa i padroni riceve come premio una polvere dagli effetti imprevedibili.

Tutti sono prigionieri e la morte si respira nell’aria. Un vero e proprio microcosmo ricalcato sull’inferno.

 

In questo romanzo tutto è innaturale. Lo pseudo-territorio su cui si sviluppa questa pazzesca vita circense è una sorta di isola sospesa sopra un abisso di tenebra. Chi osasse scavare troppo, oppure sporgersi oltre l’orlo, vedrebbe balenare minacciose entità primitive di stampo lovecraftiano. E questi giganteschi esseri sono sempre affamati

La vita del protagonista diventa un incubo schizofrenico: quando si pittura il viso e diventa clown, il mite Jamie si trasforma nel perfido JJ; «…quanto più è buono l’uomo, tanto più cattivo sarà il clown..», spiega il suo collega Winston, l’unico a mantenere una parvenza di controllo sulla trasformazione che avviene una volta indossati gli abiti di scena. Ben presto le due personalità di Jamie entrano in conflitto per il controllo del loro comune corpo, in una sequela di scaramuccie che degenerano in odio.

 

Il cerone del clown diventa nella metafora di Elliott, il nikname dietro a cui il più normale degli uomini si può nascondere per compiere ogni tipo di nefandezza e brutalità. L’oblio e la rimozione del passato passano attraverso la maschera, che diventa schermo demoniaco della responsabilità individuale: dietro a essa tutto è concesso e tutto è perdonato, anche il rischio di perdere se stessi.

L’idea di fondo, terribile, è che tutta la nostra vita più che un incubo da cui ci si riesce a svegliare, è una trappola che pare senza scampo. Il mondo in cui viviamo è un circo crudele popolata di pagliacci senza cuore, senza legge, senza pietà: noi.

Katia Valentini

 

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