Tra leggenda e realtà: Hashashin

In un Castello dove nulla è reale e tutto è permesso, il Signore della Montagna guidava una setta esoterica con licenza di uccidere: un mito ormai leggenda

«…Ora dirassi del Veglio della Montagna… Nella sua corte, detto vecchio teneva giovani da 12 fino ai 20 anni, che li pareva essere disposti alle armi, e audaci, e valenti degli abitanti in quelle montagne, e ogni giorno gli predicava… questo è il comandamento del nostro profeta, che chi difende il signor suo gli fa andar in paradiso e se tu sarai obbediente a me, tu averai questa grazia: e con tali parole gli avea così inanimati che beato si reputava colui, a cui il Vecchio comandava, ch’ andasse a morire per lui…». [Marco Polo, Il Milione, circa 1298]

 

Tra realtà storica e leggenda la “Setta degli Assassini” ha creato curiosità e affascinato studiosi e amanti dell’occulto per secoli.

Da “Assasin’s Creed” a “Prince of Persia“, passando per i libri di Umberto Eco, “Il Milione” e Boccaccio (per citare alcuni esempi) essi sono entrati nell’immaginario collettivo avvolti da quell’alone di mistero che li caratterizza.

Chi erano? Come si creò il mito? E cosa c’è di reale?

Hasan Ibn Sabbah creò il mito. Figlio di un mercante di etnia Khuzi fu compagno di studi del poeta Omar Khayyam, ben presto abbandona l’istruzione e sceglie la via del ‘Signore della Montagna’, della guerra e della Conoscenza. Hassan risente delle scissioni in seno all’Islam, che si divide tra i seguaci di Abu Bakr, cioè i sunniti, e i sostenitori di Alì, cugino di Maometto, cioè gli sciiti. Questi ultimi si dividono in tantissime correnti di pensiero, tra queste c’è quella degli Ismailiti, detti anche Settimani perché sostengono la legittimazione degli imam fino ad Ismahil, settima guida spirituale e successore di Jahfar al Sadiq. Si tratta di una corrente dell’Islam fortemente legata all’esoterismo, forse è anche per questo che legarono profondamente con l’Ordine dei Cavalieri del Tempio. Si sospetta addirittura che i Templari si siano serviti dei sicari della ‘Montagna’, assoldandoli per la realizzazione di alcuni omicidi politici di pretendenti al trono della Città Santa. Un legame che, al di là della sua più specifica connotazione, deve di necessità essere ipotizzato come plausibile, stante la documentata esistenza di un tributo che, durante la Gran Maestranza di Robert de Craon, secondo Gran Maestro dell’Ordine dei Templari (1140 ca.), il signore di Alamut versa annualmente all’Ordine del Tempio. Quella tra i Templari e la Setta degli Assassini è stata una storia piena di colpi di scena, di rapporti sotterranei, di combattimenti violenti e di strade parallele e spesso di convergenze. Oggi, al di là delle congetture, delle leggende, delle dicerie esiste una prova certa e documentale dei rapporti tra l’Ordine monastico e la Setta di Hassan.
In un atto custodito nell’Archivio di Stato di Siena si fa esplicitamente riferimento a un contratto tra la “Militia Templi” e “gli Ismaeliti” noti come gli “Assassini” per una fornitura di armi, con tanto di lauto compenso per i Cavalieri di Cristo. E’ uno dei pochi atti che è giunto a noi o, quanto meno ritrovato.

 

Nel 1090 il potere di Hassan ha inizio con la conquista della fortezza di Alamūt: Hassan si recò dal Signore del Castello sotto le mentite spoglie di un mendicante, offrendo 3.000 denari d’oro per l’acquisto. Il Signore accettò l’offerta, divertito, pensando che quel poveraccio non avrebbe avuto mai e poi mai una tal cifra. Grazie ad amicizie influenti in Arabia e in Persia, Hassan ebbe subito tale cifra per poter comperare tale fortezza. Alamūt era l’ideale: infatti, situata a ben 3.000 metri d’altezza, controllava le strade di comunicazione fra il mar Caspio e gli impervi altipiani della Persia, rendendola una fortezza inespugnabile anche per gli eserciti più agguerriti. Hassan ne fa il suo “Nido dell’Aquila“. Un forte che, nelle leggende diffuse tra la popolazione del luogo, durante il suo regno ospiterà giardini mozzafiato e biblioteche immense. Un luogo dove nulla è reale e tutto è permesso, e che vedrà il potere del suo ardito signore crescere a dismisura. Tanto che Hassan diventerà per tutti Sheikh-el-Jebel, il “Vecchio della Montagna“. Il Gran Maestro e capo carismatico della setta.

Dalle sue montagne, Hassan dirige una predicazione che sotto le sue abili mani si trasforma in conquista di nuove fortezze montane, la più importante era  Masyaf in Siria, dove aveva sede un altro noto capo della setta degli “hashashin“: Rashid-ad-din-as-Sinan, dove vi regnò dal 1169, in modo del tutto autonomo rispetto a ciò che si decideva ad Alamūt. Saladino, il condottiero che riconquistò Gerusalemme ai crociati, fu uno dei più importanti avversari di Sinan, ma il ritrovamento di un pugnale, simbolo della setta, sotto il suo cuscino lo convinse a rinunciare alla conquista della roccaforte di Masyaf.

Nel far propendere l’ago della bilancia del potere con maggiore nettezza dalla parte di Hassan e dei suoi, fu, oltre alla devozione profusa nella causa, anche un altro fattore-chiave. Gli “Assassini” di Hassan si guadagnano indiscutibilmente la loro fama sinistra per l’impensabile efficienza con la quale agiscono, ma anche e soprattutto per la scelta rivoluzionaria degli obiettivi sui quali concentrare la loro sconcertante ferocia di sicari ideali. Sono tirannicidi. Non inventano l’assassinio politico, ma lo elevano a livelli operativi assoluti, andando a colpire gli uomini-simbolo del potere sunnita.

La “setta degli assassini” era composta esclusivamente da uomini scelti e iniziati come graduati della setta, da novizio a Gran Maestro, seguendo un aggressivo piano di indottrinamento e di addestramento fisico e psicologico; privilegiavano un’interpretazione arbitraria del corano e professavano una spiritualità neoplatonica esclusiva. Si narra che in ogni città si occultasse un manipolo di assassini che agiva in maniera semi-autonoma: una presenza sovente soltanto supposta; ma che riempiva d’angoscia l’animo dei potenti e dei corrotti. Riuscivano a terrorizzare i nemici attraverso le modalità degli omicidi, effettuati con la precisione e la freddezza che li caratterizzava; i membri della setta venivano inviati, singolarmente o a piccole unità, con la missione di uccidere. Le esecuzioni, per impressionare di più, erano condotte in pubblico, nelle moschee, preferibilmente il venerdì, giorno sacro dell’Islam.
La leggenda narra che gli aspiranti “hashashin”, narcotizzati, venissero portati presso un’ala segreta del castello dove era stata ricostruita una specie di paradiso di Allah, completa di sensuali donzelle e di fontane da dove sgorgavano latte e miele. Gli aspiranti, ancora in preda agli effetti allucinogeni di canapa indiana, iniziavano a godere di tale finto paradiso. Una impressionante descrizione delle pratiche in uso presso il consesso del Vecchio viene fornita dalle pagine del “Milione” di Marco Polo, nelle quali si menziona l’esistenza, tra le inaccessibili montagne di Persia, di un favoloso castello dominato da un misterioso e munifico signore, il Veglio della Montagna per l’appunto. Questi, secondo le cronache stilate alla fine del Duecento da Rustichello da Pisa per l’eccelso viaggiatore veneziano, ha creato un paradiso terrestre artificiale colmo di leccornie di ogni sorta e sfrenati divertimenti che ricalcano quelli del paradiso islamico declamato a suo tempo dal Profeta.

Un luogo nel quale vino, latte e miele scorrono a fiumi, in un’abbondanza che fa il paio con i piaceri di ogni sorta che vengono concessi ai giovani adepti. In questo luogo di meraviglia, i predestinati fanno ingresso solo a seguito di un sonno profondo. Il medesimo oblio, indotto da utilizzo massiccio di hashish, viene interrotto quando il Vecchio ne abbisogna per i suoi scopi. Il malcapitato recupera bruscamente il contatto con la realtà, realizzando di aver appena abbandonato un paradiso che gli resterà precluso fino a missione compiuta. Medesima menzione viene presentata anche dal Boccaccio, che a metà del XIV secolo, nella Novella 8 del terzo giorno del suo “Decameron“, narra la vicenda dell’ingenuo Ferondo creduto morto dopo aver ingerito la misteriosa “polvere del Veglio”. Nel 1175, un legato del Barbarossa documenta il singolare processo di formazione cui a suo dire sono sottoposti i giovani istradati sulla via della Montagna. Figli di poveri contadini, questi vengono prelevati in tenera età e portati nei palazzi del Vecchio. Qui apprendono con dovizia le lingue più parlate del globo, latino e greco, provenzale e saraceno. Maestri compiacenti insegnano loro l’obbedienza assoluta agli ordini del Signore della loro terra, colui che ha il potere di dominare perfino gli dèi e, ciò facendo, dispensare le gioie del paradiso. Colui che, ancora, può decretarne la dannazione negando loro ogni salvezza. Omaggiati del proprio dorato pugnale, vengono infine avviati sulla misteriosa via degli Assassini.

Questi ben noti racconti, sono indizi di una tendenza dilagante nel Medioevo, quella che, appoggiandosi a visioni stereotipiche dell’Islam, unisce cronache dei fatti con elementi più attinenti al mondo della fiaba, con tutto il relativo portato in termini idealtipici (fortezze sinistre in cima a montagne imprendibili, crudeli tiranni senza pietà, luoghi paradisiaci ed astuzie inenarrabili). La leggenda del Vecchio e dei suoi Assassini fa presa in modo così radicato e radicale nell’immaginario occidentale che la stessa grossolana designazione della compagine di Hassan, Assassini, finisce per entrare nel vocabolario di uso comune per evocare il profilo del più spietato dei sicari.

 

Va certamente rimarcato come gli storici cristiani abbiano nella maggior parte dei casi attinto a piene mani da questa matassa di stereotipi, andando così a produrre resoconti che a tratti potrebbero addirittura essere descritti come pseudo -o para- storici.

Al di là delle discussioni di sorta, ed esaminando con maggior cognizione di causa il complesso di variabili storiche e politiche in cui il fenomeno di Alamut si produce, si potrebbe rispondere come gli Assassini abbiano in realtà semplicemente rappresentato la frangia più intransigente della corrente ismaelita, ala radicale di un movimento già di per sé pesantemente revisionista.

Katia Valentini

 

Share Button
Written By
More from ukizero

Cold Cave (+ Russian Rose) @Traffic Club (01/2014)

Due band all’altezza di qualsiasi aspettativa
Read More

10 Comments

  • adoro questo blog!!! e Katia Valentini è eccezionale!
    altro ineressantissimo post….soprattutto per gli ottimi ed esaustivi contenuti di ricerca

  • Ciao Katia, caspita proprio un bell’articolo. Ora provo a scriverti un commento serio, vediamo cosa ne esce.
    Il medio oriente del primo millennio è stato fucina di fatti straordinari ed è inevitabile che molti dati storici giunti fino a noi abbiano del “fiabesco”, pur perfettamente plausibili.

    Dopo aver letto il tuo articolo, ho chiuso gli occhi e mi sono venute in mente immagini totalmente eterogenee ma perfettamente congiungibili tra loro: Templari, Samurai, Sicari, Templi erotici indiani di Khajuraho, Druidi Celti, riti del culto di Dionisio, avvelenatori rinascimentali, asceti del Nepal, sacerdoti aztechi, Cavalieri Ospitalieri, Guardie Pretoriane, Inquisitori.

    Possiamo dedurre che in tutto il mondo siano esistiti ed esistono ordini e culti pressochè identici?
    Possiamo dedurre che, in realtà, da sempre esiste un unico, universale culto esoterico che comprende i piaceri della vita e la violenza della morte?
    Oppure dobbiamo rassegnarci all’idea che in ogni parte del mondo e in ogni era gli esseri umani non hanno fatto altro che copiare – ops, prendere spunto da – altri esseri umani?

    Mah. Non c’è risposta.

  • secondo me esiste un sottotesto comune in tutte le culture (cosa che ci dovrebbe far pensare, come ben avete fatto voi di uki con lo Speciale sulle Religioni) che poi ovviamente ha subito influenze reciproche da tutti gli sviluppi delle culture stesse
    😉

  • anch’io credo che le cose si influenzino a vicenda. e comunque è chiaro che una Religione Madre, una dottrina esoterica, insomma una scuola di illuminazione primigenia, nata all’alba dei tempi….sia ormai un fatto storico. Poi ovviamente con la nascita delle diverse tribù, delle civiltà e poi delle prime forme statali….ognuna ha preso strade diverse pur avendo un fondo comune
    E poi…ce lo insegna pure Uki questa cosa con tanti dei suoi post a tema! 😀
    Complimenti alla Valentini. 😉

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.