Miti e Leggende

Per ogni emozione un volto, una rappresentazione fisica, perché l’uomo ha bisogno di guardare negli occhi le proprie ambasce

La scienza e il culto del raziocinio sembrano aver messo da parte i miti; essi invece, scaturiti dalla giovinezza dell’umanità e dalla preistoria, racchiudono elementi vivi e universali del pensiero umano

Il tempo dei miti e delle leggende è tramontato da molti secoli. La luce degli dèi non splende più sul monte Olimpo, la Grecia non è più quella di Giove ed Ercole. Se il crepuscolo delle civiltà avviene per decadenza dei costumi e corruttela, quello dei miti è avvenuto perché improvvisamente l’uomo ha cessato di immaginarli e pensarli.

Parlerò principalmente dei miti greci e del corollario di leggende che si dispiegano nell’alveo della cultura ellenica. Mentre l’Europa del nord è legata alle storie pre-cristiane della mitologia norrena, i popoli del bacino del Mediterraneo trovano negli dèi dell’Olimpo le radici primigenie della loro cultura.

Ai miti si affidò il compito di spiegare le cose del mondo, altrimenti inspiegabili. Prima di ogni religione, scienza e forma di scrittura i cantori epici, rapsodi e aedi della Grecia antica, narravano vicende di divinità ed eroi protagonisti di fantastiche avventure, capostipiti e fondatori di popoli e città, capaci di imprese prodigiose, dotati di forza, coraggio e bellezza, le personalità mitiche del mondo ellenico vivono in ogni fenomeno a cui occhio umano assiste. Apprendiamo così le avventure del fedifrago Zeus (Giove) e della moglie Era (Giunone), le meravigliose imprese di Perseo, il mito di Prometeo e della creazione dell’uomo, la favola di Amore e Psiche (Apuleio), le vicende della guerra di Troia (Iliade), la straordinaria storia di Odisseo e di numerosi altri, le cui gesta furono tramandate di generazione in generazione e che ancora nel mondo odierno ci appaiono come simboli delle passioni e delle speranze umane.

Tutte le passioni dell’uomo hanno un equivalente personificato: gelosia, ira, tristezza, malinconia, gioia, ebbrezza, odio, vendetta, paura. Per ogni emozione un volto, una rappresentazione fisica, perché l’uomo ha bisogno di guardare negli occhi le proprie ambasce. Da sempre gli uomini si danno immagini, una divinità non può essere pensata nel nulla e al di fuori di una effige.
La saggezza era Zeus figlio di Cronos, la bellezza Afrodite (Venere), la vendetta le Erinni, Eros era l’amore, Plutone il sovrano degli inferi, Nettuno degli oceani e così via sino a creare un mondo a sé. Penetrare in esso è come iniziarsi a un linguaggio, quel linguaggio che è stato, per lunghissimo tempo, dei poeti e degli artisti.

Nell’epoca moderna sono tanti i pensatori che hanno cercato di riformulare razionalmente e pertanto destrutturare l’impalcatura mitica del mondo antico. Nel Cinquecento Michel de Montaigne esaminò le passioni umane, affidandone l’analisi ai Saggi, opera somma il cui scopo è quello di fornire un autoritratto dell’autore stesso. Nel Seicento la nascita della scienza moderna (Galilei e Newton) e il culto del raziocinio sembrano aver messo da parte i miti; essi invece, scaturiti dalla giovinezza dell’umanità e dalla preistoria, racchiudono elementi vivi e universali del pensiero umano. Dunque l’importanza non è soltanto letteraria e antropologica, nel senso che la conoscenza dei miti e delle storie epiche hanno conservato e tramandato l’identità di una civiltà: quella occidentale. Assolvendo all’arduo magistero di insegnare i sentimenti e così educare i cuori.

In ambito filosofico vi è un’altra opera nata per liberare l’uomo dalle passioni negative, l’ “Etica” di Spinoza risale al XVII secolo e la si può considerare come una lente di ingrandimento sotto la quale scorrono i sentimenti, le emozioni e le passioni umane. Tutte le opere concepite dopo le narrazioni epiche hanno tenuto conto della tradizione che le precedeva, da cui hanno preso le mosse per ergersi a capisaldi culturali del mondo occidentale. Quando leggiamo l’esordio del primo libro delle “Metamorfosi” di Ovidio: «È mio proposito cantare il mutamento di corpi in altri nuovi: o dèi siate favorevoli alla mia impresa e accompagnate il mio poema universale dall’origine del mondo fino alla mia età». Ovidio mostra un grande rispetto per le storie di dèi e di eroi della Grecia antica, una consapevole e debitrice riverenza verso una tradizione che ha dato un alfabeto all’umanità.

Nel Novecento italiano vi è uno scrittore che ha resuscitato i miti più di chiunque altro, Cesare Pavese con l’opera “Dialoghi con Leucò” si è ricordato di quando era studente e di quello che leggeva sui banchi di scuola. Ha smesso per un istante di credere che i poemi epici del passato, la sfera mitica e il culto dei regni oltremondani fossero inutili bizzarrie e ha voluto cercare in essi il segreto di qualcosa che tutti ricordano, da cui tutti restano affascinati. Davanti ai nostri occhi sfilano Edipo e Tiresia, Calipso e Odisseo, Eros e Tànatos, Achille e Patroclo. Dialogano tra di loro, discutono del rapporto tra uomo e natura, del destino, della necessità di dolorose ferite che possono tramutarsi in feritoie da cui vedere oltre, l’ineluttabile condanna della morte che accomuna gli uomini. «…Orfeo, eri tanto innamorato che hai varcato le porte del nulla… sei disceso nell’Ade l’hai cercata e chiamata tra i morti, dinanzi al tuo amore e dolore anche il dio Plutone e Persèfone si commossero, Euridice era stata per te un’esistenza. Ti seguiva e intravvedesti il barlume del giorno, ma ti voltasti. Euridice scomparve come si spegne una candela»

Giuseppe Cetorelli

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