Nel 1990 usciva negli Stati Uniti un film diretto da Clive Barker, “Nightbreed”, da noi tradotto come “Cabal“, che su uno sfondo tra il fantasy e l’horror metteva in scena la tradizionale lotta del bene contro il male, là dove i confini tra l’uno e l’altro rimangono sempre molto vaghi.
Sto già divagando. Nel film una delle creature mostruose incontrate dal protagonista dice: «Everything is true, God is an astronaut, Oz is over the rainbow and Midian is where the monsters live». Da questa frase nasce l’idea dei fratelli Kinsella di fondare una band chiamata, appunto, God Is An Astronaut.
Questa considerazione mi ritornerà in mente più tardi, quando il gruppo irlandese salirà sul palco, ma andiamo con ordine.
I primi a esibirsi sono stati gli Snow In Mexico, di cui ho già avuto modo di parlare nella precedente intervista. Il loro è stato un live in parte penalizzato dall’assenza delle immagini, che fanno parte integrante di uno show in cui l’accompagnamento visuale integra e amplifica il percorso sognante delle loro composizioni. Nonostante questo i ragazzi di Roma hanno ben gestito la prima parte della serata, regalando –almeno alla sottoscritta– autentici attimi di emozione. Un esempio su tutti, “You And My Winter“ che mi mette sempre un certo friccico ner core (per i non romani, procuratevi immediatamente Tanto Pe’ Canta di Nino Manfredi. Per tutti, mettere nella letterina a Babbo Natale i due Ep del gruppo romano).
Mentre gli Snow In Mexico concludevano il loro live, il mio ragazzo mi faceva notare che non c’era tanta gente “del giro”. Già qui si potrebbe aprire una parentesi su cosa sia questo giro, forse quello dell’isolato, ma in verità ogni volta annuisco comprensiva perché amare vuol dire anche accettare l’altro. Fatto sta che, in effetti, guardandomi intorno, non riconosco le facce dei concerti romani a cui vado di solito, ma noto tanti capelli lunghi, barbe e gilet da moto raduno.
Senza nulla togliere al mood estetico della serata, tutti questi elementi si ricongiungono una volta che i God Is An Astronaut cominciano a suonare.
Io seguo la band più o meno dall’uscita dell’album “All Is Violent, All Is Bright“ e quello che ha sempre attirato una come me (nota amante di tutto ciò che è tra il malinconico e il maestoso), è proprio la capacità di rendere la quiete prima della tempesta una realtà in note.
Un po’ banalmente ho sempre attribuito ai God Is An Astronaut quel post rock che adoro in gruppi come i Mogwai, la melodia che si infrange dura quando all’improvviso si innalzano i muri di suono per poi tornare tranquilla a lenire le ferite.
E sebbene l’ultimo album (“Origins“) abbia dimostrato l’abilità degli irlandesi di essere simili e del tutto diversi dagli altri nomi a cui vengono accomunati, solo nella dimensione live emerge questo aspetto.
Il gruppo si presenta sul palco in una formazione a cinque –magliette nere e jeans– e si dispone con i componenti uno accanto all’altro.
Ecco, allora, che mi torna in mente quanto premesso all’inizio dell’articolo: il riferimento horror, il phisique du role, il generoso headbanging. Altro che Mogwai, questi sono gli Iron Maiden del post rock! (citazione purtroppo non mia).
I God Is An Astronaut dal vivo sono molto più metal di quanto mi aspettassi, atmosfere meno siderali e più energiche che escono prepotenti da pezzi come “Calistoga“ o “Signal Rays“. Molte, comprensibilmente, le canzoni dal loro ultimo lavoro, anche se non sono mancate tracce dagli album precedenti. Bellissime “All Is Violent, All Is Bright“,”Fragile“ e “Echoes“, per passare a “Suicide By A Star“, “Route 666“ e altre ancora, per un totale di 17 canzoni.
In generale una performance più grintosa che introspettiva, a confermare quanto letto recentemente in un’intervista a Neils Kinsella, in cui il bassista si dice onorato di essere paragonato a band come Godspeed You! Black Emperor, ma che in realtà sono cresciuti a Metallica e Slayer ed è per questo che la loro è una musica sui generis. E io non posso che dargli ragione.
La musica finisce, gli amici se ne vanno e noi rimaniamo ancora qualche minuto a chiacchierare con gli Snow In Mexico, che ai saluti mi regalano i loro due Ep. La parte “tristona” che è in me ha avuto la sua degna conclusione, cos’altro chiedere di più da una serata?
Agnese Iannone
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http://youtu.be/34C41eEpM48