A distanza di 4 anni dall’ultimo lavoro, gli Editors tornano finalmente a far esultare i loro fan presentando alla scena musicale internazionale “The Weight of Your Love“, quarto album in studio della band britannica guidata da Tom Smith. Un periodo che non deve essere stato affatto semplice, visto che nel quadriennio precedente (2005-2009) i quattro ragazzi di Birmingham (ora diventati cinque) avevo prodotto il 75% della loro discografia. Da un lato probabilmente eravamo stati abituati troppo bene, dall’altro Smith e soci hanno l’alibi di aver perso l’ex chitarrista Chris Urbanowicz, vera mente creativa della band e artefice delle melodie che ancora suonano nella testa dei fan, le cui divergenze musicali con il resto del gruppo hanno decisamente ritardato l’uscita del disco. A fronte di una partenza addirittura due sono stati gli ingressi: il più funzionale chitarrista Justin Lockey e il tastierista Elliot Williams, una nuova line-up che nel giro di un anno appena ha dato vita al tanto atteso quanto travagliato quarto disco.
Quarto album e terza rappresentazione di sé con per la band di Birmingham, decisa più che mai a conquistarsi favori di critica e pubblico ben oltre i saldi e rassicuranti confini del Regno Unito. Dopo i primi due dischi in cui l’assetto chitarristico avevano definito uno stile indie/post punk, e un terzo album bello e coraggioso oltre ogni aspettativa, che percorreva i sentieri di un synth-pop più psichedelico e meno rock ma che non era stato compreso appieno, con “The Weight of Your Love” gli Editors si distaccano ulteriormente dalle atmosfere ascoltate nei precedenti lavori abbracciando più decisamente quello che oggi definiremmo come rock arena.
Un disco in cui la band britannica si mette a soppesare l’amore (tema non certo originale) e canta di sensazioni costantemente in bilico tra serenità e tormento interiore. A differenza di quanto ascoltato in “In this light and on this evening” del 2009, dove a farla da padrona erano il synth e le sonorità in stile Joy Division, in questo lavoro, invece, le chitarre sono sovrane e curatissime in ogni loro dettaglio. Secondo alcuni la registrazione della maggior parte delle canzoni in presa diretta, della serie ‘buon la prima’ per intenderci, sottolineata e rimarcata ad ogni uscita stampa, sa tanto di balla per entrare nelle grazie degli americani, perché le calde sonorità e le melodie rese fluide e delicate dagli archi utilizzati, fanno pensare ad un lavoro studiato nei minimi particolari.
Il disco si apre con “The Weight“, un’apertura solenne dall’incedere cupo e serioso, in cui gli Editors si riconoscono solo grazie al timbro baritonale di Smith. Più soddisfacente, almeno per gli affezionati dei primi album, “Sugar“, un pezzo cupo e cattivo che ricorda davvero gli albori della band. La terza traccia è “A ton of Love“, singolo uscito a maggio che richiama chiaramente ad alcuni brani di Bono e co. e che funge alla perfezione come cavallo di battaglia per presentare il nuovo corso della band. Si passa a “What Is This Thing Called Love“, brano che scava nel profondo in cui Tom, un po’ alla Chris Martin dei Coldplay, si cimenta per la prima volta in un falsetto ben riuscito. Ci sono poi “Honesty“, brano che si propone di diventare ballad dell’estate 2013 in cui i cori sono protagonisti insieme al ritmo scandito dalla batteria, e “Formaldehyde“, in cui chitarra, basso e batteria ci trasportano su binari rock accattivanti. Coraggiosa infine la scelta di inserire a metà disco “Nothing“, brano completamente composto da archi in cui soave fluttua la voce di Tom Smith che in certi passaggi sembra uscire fuori dall’ugola del ‘Boss’ Bruce Springsteen.
Nonostante a primo acchito le singole tracce si distinguano a fatica, ad un ascolto più attento si intuisce facilmente i motivi che hanno portato la band alla rottura con Urbanowicz, e alla creazione di una nuova identità che sa più di scommessa che di affermazione. Pur con tutte le indicazioni del caso, gli Editors si confermano un gruppo abile nel costruire canzoni, ed è apprezzabile il fatto che il frontman Tom Smith tenti di uscire dai suoi cliché mettendosi in gioco in sonorità finora inesplorate. Forse però è più giusto dire i ragazzi di Birmingham stavolta l’hanno fatta grossa, cancellando ciò che aveva fatto innamorare i fan e riscrivendo quasi del tutto il loro sound. Un esperimento fallito? Un’evoluzione della specie? Solo il tempo potrà dirci quanto dura sarà la strada che accompagnerà gli Editors alla consacrazione definitiva.
Carlo Alberto Pazienza
una forzata evoluzione della specie!
ancora non lo avevo ascoltato tutto…..temevo………
però copertina meravigliosa
forse solo quella.per accordarmi ai dubbi dell’autore, io credo sia un esperimento fallito….
senza urbanowicz non è proprio la stessa cosa!
sono d’accordo con Pazienza nel leggere questo album molto più adatto all’arena commerciale…
anch’io concordo con le riflessisoni misurate del Pazienza
Vabbè dai,come scrive Pazienza……per ora diciamo una “scommessa”!