Arctic Monkeys (+Miles Kane/The Vaccines) @Rock in Roma [07/2013]

RockNrolla senza impegno... ma entusiasmante!

In uno dei miei romanzi preferiti di tutti i tempi (“Alta Fedeltà“ di Nick Hornby) il protagonista si chiedeva se fosse nata prima la musica o prima la sofferenza. In poche righe veniva riassunto quello che pensiamo ogni volta che mettiamo su “There’s A Light That Never Goes Out“ degli Smiths: noi siamo tristi perché esiste Morrissey, o ascoltiamo Morrissey perché soffriamo nel profondo? Più o meno.

Il fatto è che certa musica mi ha rovinato e qualche volta ho bisogno di andare a un concerto poco impegnativo, dicendomi: “Ma che l’ho ucciso io Gesù Cristo?”.

Con questo spirito mi sono recata in quel di Capannelle per assistere alla tripletta Miles Kane+The Vaccines+Arctic Monkeys, che si è tenuta il 10 luglio all’interno della manifestazione “Rock in Roma“.

Scopo della serata: divertirmi. Obiettivo: raggiunto.

 

Devo ammettere che io non sono fissata con il british mood di alcuni che portano solo Fred Perry e acconciature alla Liam Gallagher e che mi ricordano tanto Alberto Sordi in “Un Americano a Roma“. Gente de’ li Castelli a cui solo “la malattia” ha impedito di nascere a Liverpool, per intenderci. Io sono di Ciampino, quindi niente offese, solo una constatazione di quello che vedrò durante la serata.

Ma torniamo ai ragazzi protagonisti dell’evento, che inglesi lo sono davvero.

 

Arrivo all’Ippodromo alle otto in punto, orario previsto per l’inizio di Miles Kane e sento che il ventisettenne di Birkenhead sta già suonando, forse nella speranza di avere la meglio sul clima monsonico che ormai è diventato più che noto a noi romani. In effetti la pioggia di lì a poco cadrà per smettere (casualmente) in tempo per il live degli Arctic Monkeys.
Di questo ragazzo, più piccolo di mia sorella, non conosco molto. So che viene da esperienze precedenti, di cui una condivisa con Alex Turner (per il progetto Last Shadow Puppets) ed è al suo secondo album da solista. Ha il taglio giusto, una camicia che non si vedeva dai tempi della BBC di beatlesiana memoria, porta in scena un rock’n’roll godibile e sornione, in cui è possibile riconoscere tutti i tributi e le influenze musicali che la terra di Albione ha generato. Non per niente la sua ultima fatica si intitola “Don’t Forget Who You Are“ e Miles Kane sa perfettamente chi è.
Non dirò che la sua performance sia stata indimenticabile, ma molto ben eseguita. Peccato sia avvenuta prima di quella dei Vaccines, per cui sarei arrivata volentieri in ritardo.

 

Mi viene in mente il loro primo album –”What Did You Expect From The Vaccines”–e mi rispondo: un’esibizione meno disordinata di quella a cui ho assistito, durante la quale il frontman Justin Young ha avuto da fare con delle corde vocali che non hanno reso giustizia ad alcuni pezzi e degli arrangiamenti che hanno finito con il far assomigliare un po’ tutte le canzoni tra di loro. Bisogna comunque dire –forse più per affetto che altro–  che ho ballato su brani come “If You Wanna“ e “Post Break-Up Sex“. La band ha proposto vecchi e nuovi brani, mentre cominciava a scendere la pioggia e in lontananza si vedevano dei lampi, che mi hanno tenuto con una certa ansietta fino all’arrivo degli Arctic Monkeys. Ho paura dei temporali, non che mi colpisca un fulmine, ma un’irrazionale fobia per questa particolare condizione metereologica. Per fortuna esistono le medie chiare.

Abbandonato il palco anche dai Vaccines, aspetto fiduciosa l’arrivo dei ragazzi di Sheffield, che si fa attendere quel tanto che basta per guadagnare il bagno e far posto a un’altra birra.

 

Il live della band viene introdotto da due enormi lettere luminose –una A e una M– che danno il nome all’ultimo lavoro e la cui “Do I Wanna Know?“ apre un concerto serratissimo di quasi due ore, in cui gli Arctic Monkeys si sono impegnati a offrire al pubblico, diventato nel frattempo nutrito, un’esibizione pulita e pressoché impeccabile.

Il gruppo dal vivo rende alla grande (tolte le solite considerazioni da tecnici del suono: si sente, non si sente, gracchia, fruscia, barrisce…) e la scaletta regala momenti potenti con “Dancing Shoes“, “Brick By Brick“ o la sempreverde “I Bet You Look Good On The Dancefloor“. Non mancano parentesi da accendino con “She’s Thunderstorms“ o “Cornerstone“ (che sì, frusciava, ma chissenefrega, era la seconda parte del concerto, la serata si era messa al bello, per due minuti ho voluto bene pure al Watusso davanti a me), la botta quasi in ultimo con “When The Sun Goes Down“ e i saluti finali di “505“ (featuring Miles Kane salito nuovamente sul palco).

La gente comincia a defluire e io, furba come una faina, mi fermo per le ultime chiacchiere, i prossimi concerti in programma e una porzione di patatine alla faccia della ritenzione idrica.

 

Gli Arctic Monkeys non mi fanno star male, figuriamoci i Vaccines o Miles Kane, ma sono un ottimo passatempo. Come sempre ci sono state le polemiche sull’audio, sul prezzo, sui cretini che ancora spingono contro le transenne e le Kate Moss de noantri che hanno preso la melma sul prato di Capannelle per Glastonbury, ma, suvvia, it’s only rock’n’roll but i like it.

Agnese Iannone 

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