Fusi e con-fusi nel mainstream dell’ascolto quotidiano, perdiamo sempre più spesso il gusto per la ricerca, per il nascosto, per l’arcano, per il meno ʿa portata di manoʾ, o per quel ʿdi più difficile fruizioneʾ, che paradossalmente potrebbe offrire molto di più.
I Porta Vittoria, duo italianissimo e al loro debutto con “Summer of our discomfort” (Old Europa Café, Maggio 2013) offrono proprio questo: la difficoltà della ricerca, di un ascolto non di certo immediato, che richiede tempo e spazio, contemplazione e curiosità, in cambio delle quali però, è in grado di aprire le porte di infiniti mondi paralleli, da sempre tutti intorno a noi ma a cui non prestiamo attenzione, magari perché troppo di fretta o troppo impegnati ad ascoltare l’ultimo dei The National o dei Daft Punk o peggio ancora dell’ossigenato Nick Cave e i suoi “Bad Seads“.
Accade cosi, che quando ci si imbatte nell’ascolto di un album di questo genere, il mondo reale va messo per un momento da parte e si deve accettare la sfida di un primo “discomfort” se si vuole accedere ad un altro livello di conoscenza, quello che in sostanza ci porterà alle soglie di qualcosa di nuovo, rendendoci diversi, forse non più gli stessi, sicuramente un po’ più “consapevoli” di spirito.
Visionare sin da subito il debout trailer del disco in questione, potrà di sicuro aiutare il ʿmalcapitatoʾ lettore a comprendere meglio di cosa si stia parlando:
Le immagini che si susseguono nei soli 47 secondi, accompagnate da un sound apocalittico-corale, lasciano probabilmente venire in mente aggettivi come ʿitalianoʾ, ʿtrashʾ, ʿarcanoʾ, ʿeroticoʾ, ʿglauqueʾ (intendendo con quest’ultimo –ahimé intraducibile in lingua italiana- qualcosa di sinitro, inquietante, lugubre, andante verso un colore tedenzialmente verdastro), ma soprattutto quello che infastidisce e turba è l’impossibilità di collocare il tutto in uno specifico contesto spazio-temporale: potrebbe essere oggi, o ieri, o proprio ora a Venezia oppure ancora in un futuro lontano.
E se la smania di curiosità porterà alla ricerca di altro, nel tentativo di approfondire e capirne di più, si arriverà allora, solo dopo qualche click su YouTube, alla visione del clip “Your Trash, my Treasure“.
Le immagini questa volta appaiono senza dubbio più coerenti tra loro e tracciano la trama di un’enigmatica storia a libera interpretazione e sensibilità del fruitore. Quello che appare più oggettivo è obiettivamente definibile è invece la fusione di suoni tra elettronica e jazz, in un folk noir garbato e delicato a tratti gentile a tratti diretto, da cui emerge un primo messaggio, quasi a dichiarazione esplicita e manifesto della posizione estetica dei Porta Vittoria «What is beauty? Just the sum of our perversions’ conscience».
In ogni caso fermarsi a quanto il web per il momento può offrire sarebbe troppo limitativo e fuorviante. E’ solo passando all’ascolto dell’intero album (reperibile qui), che si può accedere ad un’esperienza di vera avanguardia, trovandosi di fronte ad un lavoro tanto sperimentale, quanto accattivante.
Tra un brano e l’altro si è infatti gradualmente condotti ad incontrare personaggi impressionanti come Kaziglu Bey (per chi non conoscesse si rimanda qui), il triste tenente Drogo (protagonista del “Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati), il moribondo Gustav von Aschenbach (si veda il racconto di Thomas Mann, “Morte a Venezia“), il misteriosamente scomparso Guenther Lause (personaggio del film di fantascienza “Il modo sul filo“, vedi qui).
In sostanza “Summer of Our Discomfort” è pura avanguardia, musicalmente barocca, coraggiosamente intrisa di commistioni tra l’elettronica, l’ambient, il jazz ed il folk e che richiede proprio per questo un atteggiamento di attenzione particolare, un lavoro di lettura ed interpretazione dei brani che solo all’onesto fruitore svelerà i principi di una nuova e radicale estetica del bello.
Daniela Masella