“Suburra” e la dignità criminale: quando l’efferatezza diventa editoriale

La criminalità organizzata e la scelleratezza umana viene raccontata anche attraverso libri e film, in occasione dell’uscita della seconda stagione della SerieTv, qualche considerazione sul considerevole appeal che suscita il genere crime

Sul comodino, solitamente, poggiamo un libro. Accanto alla radiosveglia, puntata sempre alle 8.00, c’è “Suburra”. Romanzo di genere, oramai storico: «Il libro che ha anticipato la mafia di Roma», così recita il claim presente sulla quarta di copertina. In effetti, è vero, almeno dal punto di vista cronologico De Cataldo e Bonini – che hanno pubblicato l’opera nel 2013 – anticiparono quelli che poi furono (e purtroppo continuano ad essere) stralci di giornale e vicende di cronaca nera.

Nessuno, però, ha scoperto l’acqua calda. La criminalità, a Roma, così come nel resto d’Italia, c’è sempre stata. Quel che mancava era, forse, la familiarità con determinati argomenti: ci sono stati anni, non così remoti, in cui la mafia era un tabù. Come una zanzara a Ferragosto, c’è ma devi far finta che non esista se vuoi dormire la notte. Soltanto che, al posto delle bolle che danno prurito, arrivano le pallottole e le minacce che portano qualche conseguenza in più. Il potere, nella sua accezione più violenta e coercitiva, implica possibili ritorsioni verso gli altri e, quando è impiegato male, verso sé stessi.

La vita del criminale attira, perché l’essere umano è comunque attratto da quel lato oscuro di sé stesso (che magari tiene a bada per convenzione sociale), ma fondamentalmente è pessima: non si tratta soltanto di etica e morale, quelle le lasciamo ai benpensanti, si tratta di vissuto. Di giorni passati rinchiuso come un topo di fogna per non esser catturato, momenti in cui diventa difficile dormire, mangiare, innamorarsi. Stare al mondo diviene un lusso. Tutto in nome del potere, dell’onore e il rispetto. Che se i criminali avessero saputo d’esser rappresentati prima o poi anche da Gabriel Garko, si sarebbero fatti sparare prima. Persino loro hanno una dignità.

Ecco, appunto: il crimine a livello editoriale e filmico ha una propria dignità? Certo, o almeno dovrebbe averne, perché rappresenta esattamente quella parte oscura di noi stessi con cui fatichiamo a fare i conti. Non siamo tutti criminali, ma potenzialmente potremmo esserlo. Quindi ci piace capire come tizio ha ammazzato caio, sapere dove, quando e perché, fino a formulare delle ipotesi personali: la cronaca nera diventa intrattenimento.

I produttori e distributori lo sanno, quindi il delitto – e non solo – diventa materiale scenico e, in taluni casi, pedagogico: senza i film e i libri su Totò Riina, ad esempio, nessuno nato dopo gli anni Novanta saprebbe nulla di Cosa Nostra. Così come nessuno, oggi, potrebbe parlare con disinvoltura – non soltanto nei tiggì – di trattativa Stato-mafia. Magari, secondo alcuni, sarebbe meglio.

Invece, è grazie all’estro di persone come Sollima, Placido, Michele Soavi e molti altri che vediamo riproposte e ampliate su uno schermo le pagine più nere della storia d’Italia: Vallanzasca, Riina, Giuseppucci, De Pedis, Carminati, Spada. Sono tutte pedine nere di una scacchiera che compone il nostro vissuto, ignorarle sarebbe da sciocchi. Emularle pure, sebbene diventino gli idoli di molti giovani.

La colpa è delle Serie tivù, dei libri e dei film che raccontano le piaghe di una società? Evidentemente no. Se c’è questa voglia di lasciare un segno, positivo o negativo che sia, da parte delle nuove generazioni, il “merito” è dell’insieme di meccanismi perversi secondo cui chi sbaglia non sempre paga e spesso viene pure agevolato. La vita vera non è un cinema, ma spesso i libri e i film prendono spunto dalla realtà. Non si può addolcire una pillola già amara di suo, per questo non bisogna chiedere agli addetti ai lavori (che siano registi, scrittori e sceneggiatori) di riformulare prodotti che affrontino qualsiasi tema scabroso e non convenzionale così da renderlo più appetibile verso chiunque. Al contrario si dovrebbe lavorare affinché l’Italia possa identificarsi anche con altro che non sia solo pizza e mandolino, ma non è un auspicio che deve partire dalla mente cinematografica di un regista o dalla penna di uno scrittore sferzante. Questi ultimi cercano solamente l’immortalità artistica descrivendo i fenomeni socio culturali che il Paese ha espresso e a cui non soltanto loro, purtroppo, hanno assistito.

 

Andrea Desideri

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3 Comments

  • Potrebbero essere delle buone occasioni per indagare il male e l’animo umano, ed è questa infatti la funzione dell’arte. Purtroppo però il carrozzone che oramai i Media si portano dietro rendono invece il tutto una moda… un qualcosa su cui identificarsi o addirittura emulare in quelle modalità ben descritte in questo interessante post …

  • bellissima serie, coinvolgente,sebbene anche io come Raffaele temo delle derive in cui si rischia di sdoganare certi comportamenti devianti

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