Intervista a Pierluigi Dadrim Peruffo, autore de “Il virus benefico”

Intervista esclusiva all'autore, sull'aprirsi la strada per la libertà e la verità in un mondo di sopraffazioni e menzogne...

Pierluigi Dadrim Peruffo è nato a Vicenza nel 1979. Interessato fin dalla giovane età alla comprensione profonda dell’animo umano, dopo una laurea in Filosofia e un Master in Counseling filosofico decide di rivolgere la sua attenzione al benessere e all’equilibrio interiore dell’individuo. Intraprende quindi la professione di Counselor filosofico, oltre a tenere incontri di meditazione e a gestire un blog in cui pubblica riflessioni e racconti e in cui risponde alle domande dei suoi lettori. Ne “Il virus benefico” l’autore apre la strada per la libertà e la verità in un mondo di sopraffazioni e menzogne, riflettendo sulla natura umana e sulle sue possibilità di liberazione ad opera del singolo – che si fa “Uomo Virus” in grado di trasmettere la necessità di un cambiamento positivo negli altri esseri umani

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Ne “Il virus benefico” riflette sulla società odierna che rende l’essere umano vittima di un sistema di manipolazione dei valori, con lo scopo di controllare la libertà individuale. Nel saggio cerca di stimolare la coscienza critica del lettore affinché possa ragionare sulla prigione dorata in cui è costretto (e spesso è una condizione autoinflitta). Che cosa può aspettarsi chi si approccia alla sua opera, quali benefici e risposte ai suoi dubbi esistenziali può trarne?

L’intento di questo mio lavoro è la libertà e la felicità delle persone; bisogna però precisare un aspetto. Libertà e felicità non sono “cose”, della specie di oggetti che qualcuno ci può dare o che noi possiamo offrire, eppure molti di noi le vivono, cercano e pensano unicamente in questo modo. Che libertà può essere una libertà che ci viene data da qualcosa o qualcuno? Sarà sempre e solo una libertà che ci può essere sottratta, altrettanto, una felicità che proviene da qualcosa o qualcuno, per quanto grande possa essere, prima o poi è destinata a svanire. Qualcuno ora starà forse pensando: “Stai sostenendo che non possiamo rendere le persone libere e felici, quando un attimo prima hai detto che l’intento di questo tuo lavoro è la libertà e la felicità delle persone? Non ti pare una pesante contraddizione?” Assolutamente no! Precisamente sto sostenendo che non possiamo dare o ricevere vera e duratura felicità o libertà perché fortunatamente queste non sono oggetti, ma possiamo aiutare le persone a divenire libere e felici. Come? Lavorando in modo indiretto, aiutandole a divenire più consapevoli di loro stesse, più critiche, capaci di vedere e dare il giusto valore alle cose, capaci di riscoprire l’esistenza del loro spazio interiore, giacché vera libertà e felicità fluiscono unicamente da dentro di noi proprio quando smettiamo di considerare oggetti e persone come imprescindibili elementi per la nostra realizzazione. Per fare ciò efficacemente dobbiamo però aver terminato, o perlomeno seriamente imboccato, il medesimo “percorso” di conoscenza e liberazione. Ritengo infatti che possiamo aiutare le persone a conoscersi e liberarsi tanto quanto abbiamo conosciuto e liberato noi stessi, non attraverso teorie e speculazioni libresche, ma direttamente, empiricamente, esistenzialmente. Invero, solo scavando sino alle radici della nostra coscienza possiamo percepire la vita che alberga in ogni essere umano e così eliminare definitivamente dalla nostra mente e dal nostro cuore ogni più piccola radice di quella pianta fatta di egoismo, avidità e paura che da secoli ci pone gli uni contro gli altri. Per concludere, i benefici che spero si possano trarre dalla lettura di questo testo sono l’acquisizione di “strumenti” utili per scavare in noi stessi, per “estirpare” gli inganni e le paure che distorcono la nostra percezione della vita, per costruire ponti indistruttibili fra le persone e per demolire tutti i muri che ci isolano in noi stessi, gli uni dagli altri.

 

Lei svolge l’affascinante professione di Counselor filosofico. Ci vuole spiegare qual è il campo d’azione del suo lavoro, e in che settori del sociale viene impiegato?

La definizione accademica di “counseling filosofico” afferma che questa disciplina è una relazione d’aiuto in cui vengono facilitati e stimolati, attraverso strumenti filosofici, processi decisionali e chiarificatori in grado di risolvere e rispondere a specifiche domande dell’esistenza inerenti tematiche come la ricerca della felicità, di un senso e di uno scopo che possano dare pienezza alla vita, la risoluzione delle molteplici problematiche che possono sorgere in un rapporto affettivo, tanto di coppia quanto famigliare, il superamento di un lutto, del dolore che può accompagnare la fine di un amore… Qualcuno a questo punto si potrebbe chiedere: “Ma non è quel che fanno anche gli psicologi?” In risposta a questa legittima domanda vorrei riportare un frammento tratto da un’intervista del professor Umberto Galimberti che lessi molti anni fa su “la Repubblica” e che annotai. Il frammento dice: “nessuno di noi abita il mondo, ma esclusivamente la propria visione del mondo. E non è reperibile un senso della nostra esistenza se prima non perveniamo a una chiarificazione della nostra visione del mondo, responsabile del nostro modo di pensare e di agire, di gioire e di soffrire. Questa chiarificazione non è una faccenda di psicoterapia. Chi chiede una consulenza filosofica non è “malato”, è solo alla ricerca di un senso.”
Il counseling filosofico porta le persone a imboccare un sentiero di ricerca, le aiuta a indagare, a svelare la realtà delle cose. Dal mio punto di vista il counseling filosofico offre, o perlomeno dovrebbe offrire, un viaggio di conoscenza di sé, dei propri condizionamenti, delle proprie potenzialità.

 

Ho letto in una sua intervista di un viaggio in Mongolia in cui era alla ricerca di uno sciamano mai trovato. Ha incontrato poi dei maestri che negli anni l’hanno guidata nel suo cammino di consapevolezza e di ricerca interiore?

Quando stai cercando qualcosa tutto ti aiuta a raggiungere la meta, anche ciò che di primo acchito può apparire un ostacolo, perché in realtà non è la meta che ci trasforma ma il viaggio. È il viaggiare, inteso come l’insieme di tutto quel che ci accade istante dopo istante, tanto interiormente quanto esteriormente, che ci rende liberi fondendo dolori e gioie in un unico grande contenitore di significato. Quello sciamano non lo trovammo, verissimo, ma i miei compagni ed io ne trovammo un altro che a nostre spese bevve e fumò come se non vi fosse un domani mentre danzava come un pazzo. Tredici ore di volo, migliaia di chilometri, tutto per vedere un uomo bere e ballare senza dire una parola? No, perché il viaggio nella sua totalità fece accadere così tante cose impreviste e ci offrì talmente tanti spunti per cambiare le nostre vite che credo nessuno di noi tornò a casa deluso e uguale a come partì. La vita offre delle mete che la mente insegue come un mulo testardo insegue la carota che il padrone usa per riportarlo a casa. Un po’ alla volta la meta, lo scopo ultimo, appare sempre più irrilevante, o forse sarebbe più corretto dire che un po’ alla volta si comprende che la meta, la casa, sta in ogni passo che facciamo mentre compiamo il viaggio della vita, un viaggio che nella sua essenza è senza fine. Infatti peculiarità di ciò che non ha fine è quella di essere meta in ogni suo punto.
Ma ci tengo a sottolineare che per compiere questo viaggio non serve alcun aereo; ogni cosa diviene un viaggio se la intraprendiamo con l’attitudine della scoperta, e il più grande e ignoto continente che abbiamo a nostra disposizione è il nostro spazio interiore, la nostra coscienza. È anche vero che con il passare del tempo volgendo il nostro sguardo al passato riconosceremo alcune persone e alcuni accadimenti come pietre miliari del nostro percorso. Nel mio caso, come ho ricordato altre volte, a diciannove anni conobbi due persone fondamentali per il mio percorso di vita: un frate francescano e uno psichiatra che lavoravano insieme e che insegnavano la filosofia mistica e la meditazione come strumenti di cura e di cambiamento interiore. Ma se non troviamo il coraggio di partire e abbandonare le rassicuranti quanto limitanti mura delle nostre fortificazioni interiori, non cambierà mai nulla, e scrutando il nostro passato non riconosceremo alcuna pietra miliare. Quante persone oggi vivono vite sempre più lunghe ma che progressivamente vengono percepite sempre più come un pesante e doloroso susseguirsi di muti accadimenti?

 

Dal suo saggio: “Dal mio punto di vista, realizzare sé stessi è qualcosa che non può dipendere da condizioni esterne o dal caso, altrimenti non sarebbe un realizzare sé stessi, bensì soltanto un realizzare qualcosa”. Un concetto estremamente interessante, che in questo momento storico è completamente offuscato dall’eccesso di ambizione e avidità che contraddistingue l’agire umano. Lei è anche un insegnante di meditazione. Che tecnica insegna, e in che modo può aiutare a riconnettere l’essere umano alla parte più autentica di sé stesso?

Essendoci persi sempre più nel “fuori”, fra i seducenti colori che il mondo della materia e della tecnologia ci offre ogni giorno sempre più efficacemente, molti di noi hanno quasi completamente perso la consapevolezza di possedere (essere) uno spazio interiore. Per questo, ma non solo, all’idea di realizzare se stessi si associa sempre più l’idea di conseguire qualcosa fra le cose del mondo. Tutto ciò che riteniamo importante lo abbiamo posto fuori di noi sotto forma di oggetti e persone, lavoro e carriera, successo e denaro. In questa concezione del “realizzare se stessi” il nostro “sé” è stato completamente confuso con cose che non gli appartengono. È quindi fondamentale tornare ad avere una percezione chiara delle cose e riappropriarci della nostra dimensione interiore più vera e libera, del nostro “sé” reale.
Per fare questo esiste un “giusto atteggiamento” nei confronti della vita, uno stato mentale che ci permette di chiarire ogni confusione e penetrare nella dimensione più libera e profonda dell’esistenza attraverso una disposizione di totale apertura del “sentire”. Infatti, quando desideriamo comprendere veramente qualcosa, la nostra mente diviene silenziosa, i nostri pensieri si acquietano e, in questo modo, la realtà delle cose lentamente inizia a manifestarsi.
Un antico detto popolare afferma: “Se a un uomo sì dà un pesce lo si nutre per una notte, ma se gli si insegna a pescare lo si avrà sfamato per il resto della vita”. Nel peculiare mondo della “coscienza umana” potrebbe valere il detto: “Se ad un uomo parli d’amore e libertà lo avrai sfamato per il tempo delle tue parole, ma se lo aiuterai a scoprire l’amore e la libertà che vivono in lui l’avrai saziato per l’eternità”.
Quel che tento di fare è aiutare le persone a comprendere e praticare questo “giusto atteggiamento mentale di totale apertura”, questa disposizione meditativa, affinché possano divenire capaci di scoprire l’amore e la libertà che vivono in loro. È quel che faccio con me stesso ogni giorno.

 

Chi è “L’Uomo Virus” e come potrebbe agire per il benessere e il cambiamento dell’umanità?

Conseguentemente a ciò che è stato detto sino ad ora credo che la figura dell’uomo “virus” emerga sempre più chiara: è ogni individuo che vive cercando di conoscersi, di comprendere la vita e le persone che lo circondano per trovare e condividere vera gioia e libertà. È colui che nel compiere questo viaggio di scoperta e liberazione sente il bisogno di indicare a tutti coloro che incontra lungo la sua strada ogni trappola che ha visto o subito, ogni sentiero segreto che ha sperimentato, ogni bellezza che ha esperito.

 

Ci sono opere affini a Il virus benefico che vuole consigliare a chi desidera approfondire le tematiche trattate nel suo saggio?

Assolutamente sì! Ve ne sarebbero veramente tante di bellissime, molte volte apparentemente diverse ma nell’essenza identiche. Le prime tre che mi vengono in mente e che trovo in perfetta sintonia con il mio lavoro (non so se direbbero la stessa cosa i loro autori) sono “La prima ed ultima libertà”, di Jiddu Krishnamurti; “Il potere di adesso”, di Eckhart Tolle; e infine “Messaggio per un’aquila che si crede un pollo”, di Anthony De Mello.

 

Il virus benefico è una lettura intensa che fa riflettere a ogni singola pagina, che ci fa sentire piccoli e insieme potenzialmente immensi, e che apre tante finestre su possibilità mai considerate, eppure così semplici e naturali se ci si pensa con attenzione. Quanta ricerca e lavoro su sé stessi c’è dietro un’opera come Il virus benefico?

Più che una questione di tempo e studio è un risultato di intensità e coraggio, di voglia di scoprire e vedere. Come dicevo poc’anzi dobbiamo trovare il coraggio di partire e abbandonare le rassicuranti quanto limitanti mura delle nostre fortificazioni interiori, altrimenti non cambierà mai nulla, non riconosceremo e coglieremo le tante “pietre miliari” che ripetutamente la vita ci dona. Avremo forse vite lunghe, sempre più lunghe, ma che valore ha il tempo se non v’è gioia e significato? Spero infatti che leggendo questo testo si percepisca e venga trasmessa soprattutto un’intensità, un coraggio e un potente desiderio di compiere un viaggio sino al cuore della vita, più che il tempo e la fatica di un lavoro personale o di una narrazione storica, sociologica, filosofica o come la si voglia etichettare.

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