Due pianeti simili alla Terra potrebbero ospitare la vita

Kepler 62E e Kepler 62F si trovano nella costellazione della Lira a circa 2/3000 anni luce di distanza

«Mostrava un paesaggio fatto di qualcosa che presumibilmente era un gruppo di edifici distrutti, una campagna di macerie davanti alla quale si dividevano due fazioni. Una era evidentemente umana, l’altra sembrava formata da strane figure umanoidi che davano l’impressione di essere fatte di metallo». (F. J. Palma, “La Mappa del Tempo”, LIT, Roma 2011).

Caso mai dovessimo finire così, già sappiamo dove andare a rifugiarci! State tranquilli che due nuovi pianeti da abitare ci aspettano.

Da poco tempo la rivista “Science” ha fatto un annuncio: sono stati scoperti due nuovi pianeti su cui potrebbe essere possibile la vita, anche se al momento non ne sono state rilevate tracce.

Si ritiene che i due pianeti, o “nuovi mondi”, siano ritenuti capaci di ospitare la vita perché sembrano molto simili alla Terra.

Le caratteristiche spaziali di questi due pianeti:

– fanno parte del cosmo esterno;

– ruotano intorno ad una stella (come la Terra ruota intorno al Sole);

– si trovano nella costellazione della Lira a circa 2/3000 anni luce di distanza… ecco, diciamo non proprio dietro l’angolo.

Nonostante la distanza, i due pianeti potrebbero ospitare la vita perché presentano una serie di altre caratteristiche, “strutturali”, che permetterebbero loro di fornire un habitat adeguato… fortunati! Infatti le loro dimensioni sono simili a quelle del nostro pianeta e la distanza dal lorosole”, cioè dalla stella intorno a cui abbiamo detto girano, anche se è un po’ più piccola e meno luminosa della nostra, consentirebbe la presenza di acqua liquida e, conseguentemente, la vita… che magari c’è già mi verrebbe da aggiungere!

Qualcuno ha forse mai affermato fuori da ogni ragionevole dubbio che noi abitanti della Terra siamo le uniche e sole forme di vita nel cosmo? La canzone di Max Gazzè che ha portato all’ultimo festival di Sanremo, non parlava a un certo punto di “un’incetta di pianeti da salvare“?

 

Ma come sono arrivati a scoprire questi due pianeti? Dovete sapere che si aggira per lo spazio un satellite artificiale, di nome Keplero, che nel suo vagabondare ci ha annunciato la presenza di questi due simil-Terra, che sono stati ribattezzati: Kepler 62E e Kepler 62F.

Il secondo dei due è quello più esterno, è più grande del nostro del 40% ed ha un anno che dura 267 giorni. L’altro, Kepler62E, è ancora più grande, il 60%, ed ha un’orbita, quindi gira intorno alla sua stella madre, per un periodo pari a 122 giorni. Essendo meno esterno, e quindi più vicino al suo “sole”, è più caldo, ma ugualmente abitabile, sostengono gli scienziati: praticamente un’ottima destinazione per gli amanti dei climi caldi.

Il satellite artificiale ha scovato qui e lì in giro per la galassia, diversi altri pianeti che, almeno per grandezza, sono simili alla Terra. È poi incappato in questi due che sono sorprendentemente simili al nostro pianeta e che quindi potrebbero anche ospitarci.

Però mi viene da chiedere se c’è già qualcuno o qualcosa su questi pianeti? Saremmo presuntuosi se pensiamo di essere l’unica forma vivente in tutto l’universo! Secondo gli scienziati, questi due non sarebbero che due fra i tanti possibili mondi esistenti, pronti ad ospitare frotte di terrestri che han bisogno di occupare altri pianeti perché il loro è diventato troppo affollato. Finisse poi come in “Cowboy Bebop“? Serie animata ambientata in un futuro lontano in cui si vive quasi esclusivamente sugli altri pianeti e la Terra diventa un luogo leggendario e atavico?

Geoffrey Marcy è uno dei componenti del team Kepler presso l’Università della California. Nel tempo libero ama andare alla ricerca di pianeti che si trovano fuori il nostro sistema solare, e sembra davvero entusiasta di questa scoperta, infatti ha dichiarato: «E’ un momento straordinario per la scienza. Non abbiamo ancora trovato un nostro pianeta 2.0, ma siamo in grado di sentirne l’odore, di gustarlo e di metterci quasi le mani sopra con le nostre ‘dita tecnologiche».

Roberto Morra

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