Domenica; primo pomeriggio; un sole che picchiava come un ossesso martelletto e una fermata del bus.
“Ma quando cazzo arriva se pò sapé?! So n’oretta e mezzo che stamo a fa la muffa qua!”
L’uomo, un energumeno di un metro e novanta per centoventi chili ben distribuiti, indossava una canotta bianca chiazzata all’altezza delle ascelle; vecchi bluejeans sbottonati (per il ventre che straripava) e un buffo copricapo da muratore, fatto tutto di carta di giornale. Tra i denti macinava con rabbia un truciolo di radice di liquirizia.
Poi c’era una vecchia, a far la muffa alla fermata; una stanca signora che, a quella veneranda età, aveva ancora la tigna di uscire di casa una domenica agostina alle tre del pomeriggio… a prendersi le sorbole del sole sul cranio consunto, e a trascinarsi sulla schiena una busta di plastica pesante come il peccato, carica di chissà cosa.
Infine, a completare il trittico, un adolescente magrolino e brufoloso; era probabilmente diretto alla stazione delle corriere, visto che si menava appresso un enorme zaino da escursionista.
Il sole mazzapicchiava follemente… stantuffava come un ciclista che s’alzi sul velocipede durante una salita, e l’asfalto tremolava sotto le sue frustate. Dell’autobus, invece, non si avvertiva neanche il lontano sferragliare, e i tre viaggiatori si maceravano nell’attesa.
Ora, c’erano tre sediòle lì sul marciapiede, impiantate a bella posta per chi aveva da aspettare il mezzo, ed erano occupate nell’ordine, dall’energumeno, dal ragazzo, e dallo zaino del ragazzo. La vecchia aspettava in piedi, con le fragili gambe massacrate dalla fatica e dal sole, tutte scarabocchiate da venuzze azzurrognole e capillari rotti, che le rendevano simili a bruni cosciotti di cappone.
L’adolescente ingannava l’attesa scaccolandosi e giocando a un videogame sul cellulare, che emetteva un bip acuto e fastidioso ogni 30/45 secondi. L’energumeno, invece, suggeva con rabbia il suo legnetto di liquirizia, che, una volta bagnato per bene dalla saliva, si sfaceva in una miriade di filacci, i quali gli si inerpicavano e inficcavano tra i denti, indispettendolo e fastidiandolo non poco.
La vecchia, allora, ruppe isterica in pianto.
Una nenia più che altro, rotta da singhiozzi tutti gutturali e un poco catarrosi… e le povere gambe macilente presero a vacillare sul serio; le cadde dalle dita la busta, che s’ostinava a non poggiare a terra, e con una mano andò a reggersi per un istante, un brevissimo istante, sulla rubesta e bollente spalla dell’omaccione seduto.
L’uomo, fatto più rognoso che mai dai filacci di liquirizia che gli s’abbarbicavano tra i denti e dai costanti e fastidiosi bip del cellulare del ragazzo, fu davvero una molla: si levò in piedi urlando una bestemmia disperata.
Con gli occhi enfi di lagrime, sfogò tutto il suo dolore in un unico colpo esplosivo: una micidiale nespola sul muso della vecchia… con tutta la possanza del corpo e lanciando nell’atto un urlo sovrumano.
La povera donna stramazzò a terra come fosse stata un’oscena bambola di pezza. Mentre l’uomo si risedeva pesantemente, ansimando ancora per lo sforzo a cui s’era provato, al ragazzuolo -con le dita che mulinavano agili nelle narici- scappò un ghigno sottile, e un’espressione ebete gli deformò il volto.
di Dario Marcucci
è l'espressione ebete la cosa peggiore…
si, il finale è tremendo più del resto del racconto 🙂
il marcucci è caustico, surrealmente graffiante. altro bellissimo racconto. 😉
Dario Marcucci, quelli di "uccisioni"??? solo voi di uki potete trovare questi pazzi! 🙂
già,non potevo perdermelo!
LOL
quando scatta la molla, all'energumeno non glie dovete rompe er cazzo! 😀