Notre Dame de Paris, una pagina di diario

La brillante speranza nei sogni di bambina, ancora oggi

Il primo amore.
Da piccola, di solito, l’immagine è quella della principessa e del suo principe in un castello di torri altissime.
A sei anni mio padre mi fece conoscere il mio. Non era in una VHS o tra le pagine di un libro per bambini, ma in un posto che ancora non avevo conosciuto, fatto di luci, poltrone in velluto rosso e un palco.
Ricordo tutto, gli odori, lo sguardo già fisso al palco, entusiasta e impaziente: poi, improvvisamente, luci spente.

Notre Dame de Paris” è stato il mio primo amore. Una storia poco adatta a una bambina, non proprio alleggerita dalla formula musical. Una storia di amore carnale, morte e crudeltà.
A quei tempi non so cosa smosse quella bambina, certo è che cambiò qualcosa. Rimasi tanto estasiata che era impossibile impedirmi di ascoltare quel disco in ogni momento, ogni luogo e occasione. Tanto che i miei genitori ebbero a preoccuparsi (è ancora una storia che desta ilarità tra i racconti di famiglia), credendo si fosse trasformata in una vera e propria ossessione, una malattia. Particolare per di più: insomma, quale bambina potrebbe interessarsi tanto a una tragedia simile?
Ma si sa, sentimenti simili sono irrazionali.
Così mi innamorai del palcoscenico, delle parole in musica, della poesia. Crescendo, prendendo sempre più coscienza di ciò che era davvero quella storia, apprezzai il crudo disincanto dell’ideale diamore” che vive nelle favole.
Dall’estasi per il musical a quella per le parole di Victor Hugo, al pianto irragionevole di fronte alla pietra dura e grezza di una cattedrale che avevo solo immaginato nei miei sogni.
Dopo 15 anni, mi riscopro improvvisamente capace delle stesse espressioni di quella bambina. Gli occhi brillanti di emozione, con davanti lo stesso racconto, ma con la nuova coscienza che mi permette di riscoprire le stesse parole di anni fa.
Il cast originale di nuovo lì a regalare la propria arte agli occhi e ai cuori di ogni spettatore. Quattro ormai rodati artisti come Alessandra Ferrari nel ruolo di Esmeralda, Federica Callori in quello di Fiordaliso, Luca Marconi per Febo e Leonardo di Minno per Clopin non deludono le aspettative, dimostrandosi ancora una volta preziose gemme nel panorama del musical italiano. La mia personale menzione va (giustificata dai lunghi anni di attesa) a Giò di Tonno e le lacrime che è riuscito di nuovo a strapparmi; Matteo Setti: la sua voce perfetta è quella di un Gringoire sempre eccezionale, di fronte cui è impossibile non rimanere incantati e Vittorio Matteucci, che, come anni fa, riesce a farmi innamorare di un personaggio controverso e folle, riponendovi l’anima.

 

Questa è la pagina di un diario che non ho mai avuto, la mia personale immagine, anche un po’ disordinata e incompleta, di un’emozione altrimenti impossibile da descrivere a parole.
Victor Hugo, a 29 anni, scrisse “Notre-Dame de Paris“. Un romanzo duro, che parla di emarginazione, di dolore, ma che basa la sua intera esistenza sui due concetti: amore e speranza, seppure coperte dalle ceneri del male generato dall’uomo. Un bagliore riposto nella bellezza di una cattedrale che cela un uomo socialmente condannato e relegato perché deforme, ma capace di vero amore. Una storia di luci di speranza nascoste ma mai spente, neppure nella morte.

Una luce che accolsi a sei anni e che ho protetto gelosamente per i successivi 15. Finalmente l’altra sera è apparsa di nuovo, e giuro, continuerò a custodirla con la stessa cura.

P.S. Andate a teatro. Fa bene all’anima.

 

Arianna Franzolini

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