Che dire del nuovo album dei Metallica? Bisogna essere onesti: se una band emergente avesse fatto un disco come “72 Seasons“, non si potrebbe far altro che applaudire, con un unico commento caustico: “Questi qui vogliono un po’ essere i Metallica”. Se sono però i Metallica a fare un disco alla Metallica, be’, la musica cambia; e la nuova fatica della band che ha fatto (nel bene e nel male) la storia del metal ha questa innegabile pecca.
Dopo le incursioni nel new metal e in Dio solo sa cosa, a partire dal Black Album fino a St. Anger, il ritorno al thrash dei Metallica era stato generalmente ben accolto: austero, personale e non troppo autocompiaciuto. Hardwired… to Self-Destruct è e rimane un ottimo disco, anche perché ha una sua autentica originalità rispetto ai capolavori degli esordi. È un album in cui la band prende una direzione all’interno del genere, non dimenticando le vecchie glorie ma dando uno sguardo interessato e interessante al panorama di un filone che ha tirato fuori parecchie perle dagli anni Ottanta a oggi.
Questo nuovo album, invece, sembra piuttosto uno sguardo nostalgico ai Metallica celebrati e tornati di moda in seguito a Stranger Things: una compilation che guarda al passato e sembra voler rievocare gli anni d’oro con Cliff Burton, per poi soffermarsi a discutere sulla parentesi di Reload e ritornare a riflettere su Master of Puppets, con un momento di dibattito su …And justice for all.
Tutto questo ben suonato, con una band in forma smagliante che fa sentire la padronanza sulla tecnica, sulla composizione e sugli arrangiamenti, immerso però in sonorità pulite e iper-prodotte, talmente lavate e sbiancate che fa venire voglia di ascoltare un qualunque vinile dei rimpianti anni Ottanta solo per potersi godere la produzione del suono.
Che dire dunque? Non è un brutto disco, e probabilmente nella carriera dei Metallica non è il peggiore; ma nel panorama del thrash metal non spicca per la volontà di dire qualcosa di nuovo, poco ma sicuro. È, in un certo senso, l’esatta antitesi di Death Magnetic: se quest’ultimo album aveva l’inestimabile pregio di un ritorno con freschezza e voglia di esplorare nuovi orizzonti al genere che aveva reso celebre la band, 72 Seasons è una riproposizione meno incisiva e più prodotta di uno stile che per quanto affascinante alla lunga risulta prevedibile, con alcuni momenti entusiasmanti ed altri decisamente opinabili.
Gianni Carbotti e Camillo Maffia
concordo! e’ bello risentirli inspirati e all’altezza.
certo pero’, nulla che possa prendere il posto dei loro capolavori… della serie: “ma allora mi risento quello o questo …. ”
diciamo che oggi la produzione aiuta a renderli ancora ascoltabili, se non altro … :)))
anche io sono d accordo con la tiepida accoglienza ma felice di risentirli in forma